Sarà che quest’estate sembra non finire più o che forse le stagioni non sono più quelle di una volta, sta di fatto che è proprio ora che si torni su quel capolavoro che è La bella estate di Cesare Pavese.
Non so spiegarvi perché mi sia piaciuto così tanto (lettura estiva, ovviamente e perfino in collina, seppur nel Chianti e non sopra Torino). La parola chiave che mi viene in mente è: semplicità. La capacità di saper far parlare i fatti, e le persone, e i luoghi facendoli rivivere per quello che sono.
Ma anche: la capacità di far parlare i fatti, e le persone, e i luoghi, avvolgendoli di una liricità che parla la lingua semplice della natura.
Voglio dire: se leggeste un qualunque libro sotto la luce di una luna piena o in mezzo a un bosco, leggereste le stesse parole? Lasciamo parlare lui, e a voi il giudizio.
L’incipit:
A quei tempi era sempre festa. Bastava uscire di casa e attraversare la strada, per diventare come matte, e tutto era così bello, specialmente di notte, che tornando stanche morte speravamo ancora che qualcosa succedesse, che scoppiasse un incendio, che in casa nascesse un bambino, o magari venisse giorno all’improvviso e tutta la gente uscisse in strada e si potesse continuare a camminare fino ai prati e fin dietro le colline.
E ancora:
Perché vuoi sprecare l’estate? Non puoi dormire con un occhio solo?
Questa è la frase chiave di tutto il libro. E infine:
Quando la sveglia suonò, lei non dormiva e pensava a tante cose, nel tepore del letto. Alla prima luce rimpianse che fosse ormai in inverno, e non si potessero più vedere i bei colori del sole.
A volte può sembrare che alla fine dell’estate non ci siano più colori, ma la verità è che c’è sempre un libro per cui valga di dormire con un occhio solo. Buon inizio di autunno a tutti.
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