Claudio Magris sul Corriere della Sera di ieri (31 luglio 2009) ricorda con la sua consueta precisione e semplicità una idea e sensazione che da un po’ di tempo provo ogni volta che ritorna protagonista pubblico uno dei tanti terroristi che insaguinarono l’Italia nel nome della rivoluzione e di una bandiera (“Quei miserabili che disonorarono un colore per noi sacro”, disse Sandro Pertini).
Magris ci ricorda l’uscita in autunno del film di Renato De Maria, Prima Linea, tratto dal libro autobiografico di Sergio Segio ex terrorista e colpevole dell’assassinio di
Emilio Alessandrini,
Guido Galli,
Francesco Rucci,
William Vaccher.
A parte lo scontato diritto di ritornare alla vita da parte chi ha pagato con la prigione i delitti commessi; a parte l’interesse “storico” per storie e punti di vista che hanno segnato il nostro paese (e personalmente gli anni cruciali in cui passavo dall’essere ragazzo al diventare adulto, fra tradimenti di speranze politiche e la crudele e insipiegabile violenza), Magris si augura che il film di De Maria non
indulga a quella falsa e zuccherosa comprensione che implica una sostanziale, anche se compunta e melliflua, approvazione.
Perché
Spesso, nei doverosi tentativi di comprendere i terroristi delle Brigate Rosse […] si insinua invece una stupida fascinazione, che li vede quasi come protagonisti; quasi maestri sia pur deviati che avrebbero qualcosa da insegnare, magari più delle loro vittime, oltraggiosamente e vilmente dimenticate, con un vero insulto alla loro memoria e al dolore di chi le amava e le ama.
Ecco, le vittime dimenticate, il punto di vista che merita veramente recuperare, fino in fondo, per capire e per fare un un po’ di giustizia storica di quegli anni (come ci ha ricordato Mario Calabresi in Spingendo la notte più in là).
Ancora Magris:
Sembra invece che gli ex terroristi vengano ascoltati con untuosa retorica come se, per il fatto di aver ammazzato qualcuno, la sapessero più lunga degli altri.
Purtroppo, conclude Magris:
La retorica sugli ex terroristi diventa facilmente cattiva letteratura.
Claudio Magris chiude il suo intervento citando un libro che ora vado in biblioteca a prendere: La città degli untori di Corrado Stajano (Garzanti: è un libro su Milano, quel che era e quel che è diventata). Stajano confronta la prosa di Segio con quella di una delle sue vittime, il magistrato Guido Galli. Le parole di Segio sono
Pappa del cuore, vecchio vizio retorico italiano, posta sentimentale rosa vicina al rosso del sangue versato.
L’ultimo biglietto di Galli, lasciato al figlio, prima di uscire di casa il giorno in cui gli spararono, dice:
“Alex, se fai le spese comprami un po’ di caffè. Ciao, Papà.” Lo stile, è stato detto, è l’uomo.
Il testo completo dell’intervento di Claudio Magris, Anni di piombo, quei terroristi pentiti con la pappa nel cuore.
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