Claudio Magris e l’inutile retorica dei terroristi pentiti

Claudio Magris sul Corriere della Sera di ieri (31 luglio 2009) ricorda con la sua consueta precisione e semplicità una idea e sensazione che da un po’ di tempo provo ogni volta che ritorna protagonista pubblico uno dei tanti terroristi che insaguinarono l’Italia nel nome della rivoluzione e di una bandiera (“Quei miserabili che disonorarono un colore per noi sacro”, disse Sandro Pertini).

Magris ci ricorda l’uscita in autunno del film di Renato De Maria, Prima Linea, tratto dal libro autobiografico di Sergio Segio ex terrorista e colpevole dell’assassinio di
Emilio Alessandrini,
Guido Galli,
Francesco Rucci,
William Vaccher
.

A parte lo scontato diritto di ritornare alla vita da parte chi ha pagato con la prigione i delitti commessi; a parte l’interesse “storico” per storie e punti di vista che hanno segnato il nostro paese (e personalmente gli anni cruciali in cui passavo dall’essere ragazzo al diventare adulto, fra tradimenti di speranze politiche e la crudele e insipiegabile violenza), Magris si augura che il film di De Maria non

indulga a quella falsa e zuccherosa comprensione che implica una sostanziale, anche se compunta e melliflua, approvazione.

Perché

Spesso, nei doverosi tentativi di comprendere i terroristi delle Brigate Rosse […] si insinua invece una stupida fascinazione, che li vede quasi come protagonisti; quasi maestri sia pur deviati che avrebbero qualcosa da insegnare, magari più delle loro vittime, oltraggiosamente e vilmente dimenticate, con un vero insulto alla loro memoria e al dolore di chi le amava e le ama.

Ecco, le vittime dimenticate, il punto di vista che merita veramente  recuperare, fino in fondo, per capire e per fare un un po’ di giustizia storica di quegli anni (come ci ha ricordato Mario Calabresi in Spingendo la notte più in là).

Ancora Magris:

Sembra invece che gli ex terroristi vengano ascoltati con untuosa retorica come se, per il fatto di aver ammazzato qualcuno, la sapessero più lunga degli altri.

Purtroppo, conclude Magris:

La retorica sugli ex terroristi diventa facilmente cattiva letteratura.

Claudio Magris chiude il suo intervento citando un libro che ora vado in biblioteca a prendere: La città degli untori di Corrado Stajano (Garzanti: è un libro su Milano, quel che era e quel che è diventata). Stajano confronta la prosa di Segio con quella di una delle sue vittime, il magistrato Guido Galli. Le parole di Segio sono

Pappa del cuore, vecchio vizio retorico italiano, posta sentimentale rosa vicina al rosso del sangue versato.

L’ultimo biglietto di Galli, lasciato al figlio, prima di uscire di casa il giorno in cui gli spararono, dice:

“Alex, se fai le spese comprami un po’ di caffè. Ciao, Papà.” Lo stile, è stato detto, è l’uomo.

Il testo completo dell’intervento di Claudio Magris, Anni di piombo, quei terroristi pentiti con la pappa nel cuore.

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28 risposte a “Claudio Magris e l’inutile retorica dei terroristi pentiti”

  1. Condivido quasi tutto dell’intervento di Claudio Magris, scrittore e intellettuale di cui ho la massima stima, ma non il giudizio sulla “fase storica”, se così si può dire con termini un po’ retrò. Opportunamente Luiginter ha ricordato la discussione del GdL di Cologno sul libro di Calabresi, perché la questione è la stessa. Quindi non la riprendo e vengo al punto, che è secondo me: oggi siamo di fronte a una riabilitazione strisciante del terrorismo, a una rivalutazione dei terroristi in quanto “eroi”, a un apoteosi della stucchevole retorica pseudorivoluzionaria che Magris critica? O, piuttosto siamo da più di un decennio di fronte all’incapacità di chiudere, con una politica di verità e riconciliazione, una fase oscura e feroce della storia italiana? A me sembra che la seconda sia la risposta giusta: e l’incapacità di chiudere questo capitolo (che vuol dire anche tagliare le gambe a qualche tardivo e doppiamente colpevole emulatore) è anche dovuta al coro di benpensanti che si leva ogni qual volta un (ex)terrorista esce di galera, dopo aver scontato la pena, e cerca di rendersi finalmente utile alla società facendo un lavoro normale. Il recente “caso Battisti” ne è un esempio, ma io ricordo anche quando alla nostra biblioteca è stato reso impossibile (per ragioni di ordine pubblico) un dibattito con Renato Curcio sulla sua attività di editore, o quando qualcuno si stupisce, o si indigna, se al telefono ci capita di parlare, per ragioni di servizio, con Francesca Mambro che svolge il suo lavoro all’associazione “Nessuno tocchi Caino”. Ecco, secondo me, questo accanimento un po’ giustizialista, questa ristrettezza di vedute (pericolosa, anche perché ha regalato il garantismo alla destra), andrebbe combattuta come si fa con il rischio di indulgere a una “falsa e zuccherosa comprensione”. No, non ci può essere nessuna comprensione per quello che hanno fatto in quegli anni i terroristi e se il film di Renato De Maria questo farà, ha fatto bene Magris ad avanzare una critica preventiva. Ma anche l’analisi filologica dei discorsi e dei messaggi e la condanna della cattiva letteratura potrebbe essere destinata a obiettivi più adeguati. Chi ha dei dubbi sulla superiorità (politica, morale, umana e naturalmente letteraria) di Moro rispetto ai suoi carcerieri? Che cosa ci possiamo aspettare da gente che è cresciuta sillabando comunicati sullo stato imperialista delle multinazionali? Mi sembra che in questa direzione si sfondi una porta aperta e si sfiori l’ovvietà, perdendo di vista invece il punto centrale della questione.

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  2. http://www.marxismomilitante.org/2009/08/lincommensurabile-differenza-tra-un.html

    Sul Corriere della Sera del 31 luglio è uscito un articolo da passaggio in prima pagina di Claudio Magris dedicato agli anni di piombo e all’uscita prossima del film sulla storia di Prima Linea di Renato de Maria[1], sceneggiato su soggetto autobiografico di Sergio Segio, ex-militante dell’organizzazione. Nell’articolo Magris lamenta il tono e lo stile delle ricostruzioni filmiche e letterarie degli anni del terrorismo, e parla di “pappa nel cuore” di quelli che, ai suoi occhi, non sono altro che, appunto, terroristi. Parla di “retorica del combattente” e di altre “deviazioni” storiografiche che, secondo lui, tenderebbero a “tingere di rosa” fatti che meriterebbero ben altro approccio. Magris è una persona astuta, e mette subito le mani avanti dichiarando il suo animo garantista pronto a riconoscere diritti e rispetto, magari solo formale, a chi ha pagato il suo “conto con la giustizia” (borghese naturalmente, ma è di questo che stiamo parlando). Peccato che per Magris è evidente il rammarico di un giudizio storico a suo avviso evidentemente non compiuto: evidentemente per lui manca una Norimberga del terrorismo, qualcosa che condanni definitivamente quella stagione e i suoi protagonisti con la pena della damnatio memoriae per i secoli a venire. Il nostro riferimento al famoso tribunale internazionale non è casuale, dato che è lo stesso Magris a tirare in ballo la storia e a proporre il paragone con il giudizio che si è dato sul nazismo e sulle SS. In Magris c’è evidentemente della forte tensione personale, tale da spingerlo a mettere in ballo le recenti nozze di un ex-militante delle Brigate 28 Marzo ed assassino di Walter Tobagi a base di preti concelebranti e il suo, celebrato con rito ordinario ad un solo sacerdote… Evidentemente Magris non accetta l’idea che la Chiesa ha tutto l’interesse a celebrare se stessa e la sua vittoria sacramentale sul male, consacrando il matrimonio di un assassino convertito, piuttosto che occuparsi più di tanto dell’ordinaria unione matrimoniale di un giornalista come tanti. Siamo elastici, potremmo arrivare ad accettare una certa critica che faccia riferimento a certo protagonismo di ex-guerriglieri metropolitani che tentano di rifarsi una verginità parlando pubblicamente con tutti per spacciarsi come “uomini del dialogo” (e che salgono in cattedra per dare lezioni di moralità politica al prossimo, come il caso di ex-pistoleri di professione come Valerio Morucci), ma non la stizza ideologica di Magris che sul suo articolo cita, volutamente a sproposito, Toni Negri e la sua provocatoria solidarietà a Berlusconi riguardo alla reltà italiana della giustizia politica di buona parte della magistratura, che proprio in questi giorni è riapparsa prepotentemente sulla scena politica con i deliranti teoremi dell’operazione Rewind contro il movimento[2]. Tanto di personale in Magris quindi sull’argomento, e da qui nasce l’impossibile confronto tra “terrorismo” (che noi chiamiamo più correttamente “lotta armata”, definizione tecnica scevra da condizionamenti politico-ideologici) e la barbarie nazista. Barbarie, definizione scelta non a caso dalla storia: nella barbarie non si contempla l’assassinio ma il massacro, e le Schutzstaffeln furono autrici di massacri, i nazisti furono appunto massacratori. Un termine quest’ultimo usato con ragione e non come fanno taluni pennivendoli della destra reazionaria che tentano di riscrivere la storia a colpi di “revisioni” giornalistiche che altro non sono che falsi e falsificazioni storiche, giudizi ideologici, illegittimi e infami, come quelli che avrebbero voluto dipingere come massacratori appunto gli autori dell’attacco di Via Rasella alle SS a Roma, un atto considerato “legittima azione di guerra” dalla Corte di Cassazione che si è recentemente espressa sull’argomento (e che ha condannato gli autori di tale infamia al risarcimento dei familiari dei partigiani per l’offesa ricevuta dal fango gettato sulla memoria dei loro cari)[3]. Proprio su Via Rasella negli anni si è tra l’altro discusso sulla definizione di “terrorismo”, dinamica quella della bomba del 23 marzo ‘45 che richiama una tecnica tipica, ma l’obiettivo militare taglia la testa al toro sul giudizio morale dell’azione. È il tempo di pace che segna la cesura tra l’atto di guerra e l’atto terroristico, e ancor più lo fa l’obiettivo civile. È questo che suscita condanna e alimenta la retorica criminalizzante sui protagonisti dell’eversione armata, che esiste, forte, ma che Magris lamenta non essere assoluta come accade col nazismo… Perché succede? Semplicemente perché parliamo di uomini e non di massacratori. C’è un’oggettiva differenza antropologica tra chi commette un omicidio politico e chi commette un massacro: il primo agisce contro un obiettivo preciso, stabilisce ed individua il nemico, un nemico sempre responsabile, colpevole, al di là della legittima critica dei criteri utilizzati per stabilire la colpa e la successiva condanna (critica che tra l’altro produciamo anche noi, che reputiamo moltissime scelte della lotta armata degli anni ‘70 e del recente abbozzato revival sbagliate, suicide, controproducenti, dei potentissimi errori strategici; da parte nostra nessun condizionamento romantico dal sapore francese quindi ma anche nessun piagnisteo da “sacralità della vita” e da parenti delle vittime). Un “terrorista” di estrema sinistra è spesso una persona considerevolmente colta, che sceglie di agire contro le ingiustizie di un mondo che non sopporta più, sceglie un bersaglio, un nemico del popolo, un obiettivo ragionato e circoscritto. Il motore è un ideale, un sentimento di giustizia, che non può colpire innocenti come accade nelle stragi… Per usare le parole di Segio riportate dallo stesso Magris, i terroristi di sinistra sono stati “persone leali, che hanno lottato con errori spesso gravi, ma anche con dignità e coraggio, per un mondo migliore e più giusto”. E proprio queste parole, che chi conosce le biografie di molti dei più noti esponenti della lotta armata sa essere veritiere, che si può affermare con assoluta certezza che nessun terrorista rosso mai avrebbe eseguito l’ordine (per non parlare dell’assumersi la responsabilità del comando) di sterminare decine di ebrei nelle camere a gas di Auschwitz-Birkenau o di sparare a uomini, donne e bambini per decimare la popolazione di un paese come Marzabotto. Questi i veri assassini, questi i veri criminali… Dietro a un terrorista c’è un uomo, dietro una divisa delle SS un massacratore, e finché ci sarà in circolazione l’intelligenza per capire questa differenza continueranno ad esserci libri e film (come “Ogro” o il recente ed apprezzato “Salvador” per fare due esempi pregnanti in questi giorni di fermento spagnolo sulla questione ETA) che non giustificheranno, esalteranno o condanneranno il terrorismo, ma tenteranno di capire quegli uomini e (soprattutto e più proficuamente) i motivi che li hanno spinti ad impugnare le armi. E si rassegni Magris all’idea che la vita di un terrorista possa essere storicamente e socialmente più rilevante e più interessante della sua.

    MM

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  3. Molte, molte parole spaventose in questo intervento di MM.

    Non sarò certo io a dover difendere un uomo acuto e dal pensiero ammirevole come Claudio Magris; il suo articolo sul Corriere – che condivido completamente – ha argomenti sufficienti per sommergere le tesi di MM.

    La parte più triste e misera delle parole di MM è certo l’accenno a quello che lui chiama “piagnisteo da ‘sacralità della vita’ e da parenti delle vittime”. Che mi pare non meriti nessun altro commento.

    Piuttosto, come spiegare la definizione data da Segio di “persone leali” (lo fa nella sua autobiografia di militante) ad assassini come lui? Lui che ha sparato a sangue freddo a uomini che lavoravano per la giustizia, come Guido Galli e Emilio Alessandrini?
    O possiamo definire ‘leale e buono’ chi ha ucciso Guido Rossa e tutti gli altri?

    Il giudizio su una SS ad Auschwitz c’entrano poco con gli assassini di Prima Linea o delle BR. I campi di sterminio sono incommensurabili.

    Ma questo non toglie che il terrorista nichilista vestito da rivoluzionario sia comunque un assassino, un criminale; una persona che, se ha pagato scontando la pena, è giusto rientri in società; ma che, d’altra parte, non mi sembra abbia titolo per spiegare cosa sia “un mondo più giusto”, o almeno, se trova megafoni per farlo, mi pare sia legittimo da parte di altri, per esempio i parenti delle vittime, indignarsi per questo; non ascoltarli, criticare chi dà loro voce.

    Avere come maitre à penser uno come Sergio Segio francamente dà un po’ di voltastomaco.

    Come ha scritto Corrado Stajano: “Hanno scontato la pena con premi e benefici e ora godono delle ‘visibilità’ offerta loro dalla società dello spettacolo […]. Come se nulla fosse successo. Come se l’aver pagato la pena inflitta, quando è accaduto, avesse cancellato ogni responsabilità politica e morale (La città degli untori, pp 57-58).

    Di questo parlava Magris, non dell’equparazione fra il nazismo genocida e il terrorismo rosso.

    E poi, dire che la vita di un terrorista possa essere storicamente e socialmente più rilevante e più interessante di quella di Magris, sarebbe un’affermazione ridicola se non ci ricordasse che il *rilievo storico sociale* della vita di Segio è stato effettivamente tremendo: legato alle quattro persone che ha assassinato, ai famigliari e amici delle vittime, al lavoro sociale che avrebbero potuto ancora svolgere, agli affetti che non hanno potuto dare ai loro cari.

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  4. Vero, le molte parole di MM sono spaventose. Ha già detto tutto luiginter, ma io aggiungo- temo non per MM ma per chi voglia ascoltare- alcune riflessioni di Todorov in ” Memoria del male, tentazione del bene” Se come dice MM “Il motore ( del terrorista)è un ideale, un sentimento di giustizia”, dobbiamo sapere che ” ogni totalitarismo è dunque un manicheismo che divide il mondo in due parti ugualmente esclusive, i buoni e i cattivi, o che si prefigge come scopo l’ annientamento di quest’ ultimi”.
    […[ La divisione in due parti vicendevolmente esclusiveè essenziale per le dottrine totalitarie. Non c’ è posto, qui, per le posizioni neutre; ogni persona tiepida è un avversario, ogni avversario è un nemico. Riducendo la differenza all’ opposizione e cercando poi di eliminare coloro che la incarnano, il totalitarismo nega radicalmente l’ alterità, cioè l’ esistenza di un “tu” paragonabile all’ “io” o addirittura intercambiabile con esso e che tuttavia resta irriducibilmente distinto da esso” ( Pagg-46-47)

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  5. Qui ci sarebbe voluto Cechov, che avrebbe detto ad MM:
    Voi vivete male signori !

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  6. Che dire a MM ?
    solo che tristezza!
    Il paladino della “giustizia” fai da te, contro persone inermi, in un non sò se voluto o vero lapsus froidiano, riduce a qualche DECINA, le vittime nelle camere a gas, chi è il nazista mm?
    Sottoscrivo ogni parola di Luiginter, Renza e Domenico.
    Saluto dicendo che non c’è bisogno di altri cattivi maestri, ce ne sono in giro già abbastanza.

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  7. Un consiglio a MM:
    “prima di aprire la bocca controlla che il cervello sia ben inserito”!!!Leggere quest’intervento parole è a dir poco raccapricciante.Vorrei tanto vedere queste persone (mm compreso) dall’altra parte,anche se penso non gli farebbe ne’caldo ne’freddo!Non voglio sprecare troppe parole con qualcuno,che non credo possa minimamente capire cosa c’è dall’altra parte, ma dico solo una cosa a mio avviso dietro un terrorista come dietro una SS si nascondono degli inetti massacratori,ma mentre per i primi si parla del passato per i secondi purtroppo si parla ancora del presente!!!
    Naturalmente concordo con le parole di chi mi ha preceduto e spero tanto di non leggere più interventi come il questo e mi auguro che possano essere capaci resettare il loro modo di pensare,anche se sono sicura che è un augurio che cadrà nel vuoto.Spero poi che magari un giorno possano comprendere nel modo giusto i fatti citati dallo stesso mm e gli altri che hanno avuto comunque la stessa matrice.

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  8. Sarò di una banalità e una semplificazione che rasenterà la demenza ma, per me, esiste un solo comandamento, una sola legge :”NON UCCIDERE”…punto! Qualsiasi guerra, qualsiasi rivoluzione o resistenza diventa sbagliata non appena si macchia del primo omicidio. Il veleno che origina un assassinio, quale che ne sia la motivazione, diventa una catena pesantissima, una ragnatela micidiale, qualcosa di assolutamente irreparabile. Come si può vivere sapendo di avere soppresso un’altra VITA?
    Dopo 15 anni, ricordo ancora con raccapriccio il “rumore” del corpo di un passerotto che in un ventoso giorno di gennaio, volando basso, si è schiantato contro il parabrezza della mia auto!
    Visto l’intervento di Ennore qui sopra che, se non ricordo male, ultimamente stava leggendo Asimov, mi sono saltate in mente le tre leggi della robotica:

    1°-Un robot non può far del male ad un essere umano né permettere — non intervenendo — che qualcosa o qualcuno faccia del male ad un essere umano.
    2°-Un robot deve sempre obbedire agli ordini impartiti da un essere umano, a meno che essi non siano in conflitto con la Prima Legge.
    3°-Un robot deve sempre salvaguardare la propria esistenza, a meno che così facendo non debba infrangere la Prima o la Seconda Legge.

    E gli uomini che Leggi hanno?

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  9. Un’ultima aggiunta. Quando MM scrive che Terrorismo viene da loro chiamato lotta-armata perché è una definizione scevra da condizionamenti politico-ideologici si raggiunge il culmine della perdita del senso della realtà. Magris con pappa del cuore intende dire proprio questo, ossia che i militanti della lotta armata mostrano di non aver conquistato un minimo di senso della realtà, lo si capisce dalle loro argomentazioni astratte. La lotta armata “nasce e cresce” su una ideologia, su una supposta causa superiore che fa perdere di vista la realtà più cruenta fino all’omicidio. Un omicidio è un omicidio e non esistono nobili motivazione per motivarne l’azione. Anche un uomo che uccide sua moglie per un adulterio, potrebbe invocare la sacralità della famiglia, l’armonia frantumata per motivare la sua azione. Ma come scriveva Herzen – il grande scrittore russo – qui si gioca con le parole e queste sono le parole confuse di un barbaro.
    Più vado avanti con gli anni e più apprezzo il verso di Shakespeare: La maturità è tutto. Perché la maturità ha a che fare con la comprensione della vita, col senso della realtà conquistato e con la compassione (ma quella vera).

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  10. Caro Domenico,
    molto bello il verso di Shakespeare ma credo che in persone capaci di dire certe cose neanche la maturità potrà porre rimedio e la parola compassione non sanno neanche cosa significhi!!!Altro che perdita del senso della realtà,secondo me non ce l’hanno mai avuto!!!
    Cara Silvana,
    sarai stata pure banale(anche se per me non lo sei stata affatto,è sempre bene rispolverare alcuni principi) ma concordo pienamnte con il tuo intervento,credo che “certi”uomini non abbiano ne’principi morali ne’Leggi da rispettare.
    Infine la parola demenza o meglio l’esere demente è un’aggettivo o una condizione che lascerei ad altri!!!

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  11. Non sentivamo proprio il bisogno di trovarci sciorinata questa giaculatoria di luoghi comuni da parte di un sito che vuole richiamarsi al “marxismo militante” (mi immagino quanto si rivolterà il fantasma del vecchio Karl ma forse ormai ci si è abituato). Però se serviva un esempio della pappa del cuore o meglio del cervello che va in pappa, eccoci serviti. Mi piacciono molto le risposte che, senza sottrarsi all’elemento politico, usano il linguaggio e l’arma della lettura e rispondono con Cechov, Dostoevskij, Herzen, Asimov…. Solo così forse possiamo “leggere” questa coazione a ripetere che spinge alcune persone a riproporre argomenti, slogan, obbiettivi, tanto trucidi e disumani quanto completamente insignificanti, oggi (il che non significa meno pericolosi). Questo è tutt’altro che il necessario anacronismo che si oppone alle idee dominanti, è la specularità che nasce da un impressionate vuoto di immaginazione e di fraternità. Per fortuna oggi non abbiamo più il problema di Pertini: non ci possiamo più confondere. E’ passata troppa storia sotto i ponti.

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  12. Poco da aggiungere a quanto è stato detto così bene nei diversi interventi di chi mi ha preceduto. E come ricordava Egolector soprattutto usando l’arma delle parole di quegli scrittori, in nome dei quali ci ritroviamo spesso in questo blog.
    L’unico aspetto positivo dei discorsi farneticanti di MM è che poi forniscono l’occasione a noi lettori di intervenire compatti e di dare ancora di più un’identità di fondo a questo blog, pur nella pluralità delle opinioni.
    Possiamo amare uno scrittore piuttosto che un altro, ma ciò che ci accomuna è il rifiuto di qualsiasi forma di violenza, la difesa ad oltranza della dignità umana.
    In tempi come questi non è facile – almeno per me – riconoscermi con la sicurezza e l’entusiasmo di un tempo in una ideologia.
    Penso però che tutti noi, appassionati lettori e frequentatori di questo blog, sappiammo con fermezza CIO’CHE NON SIAMO E CIO’CHE NON VOGLIAMO.

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  13. Cara Silvana,
    tu non sei mai banale e tanto meno lo sei in questo caso, da parte mia condivido ogni singola parola. No sò come tu abbia potuto anche ricordarti che leggevo Asimov.La tua citazione delle tre leggi della robotica, è quanto di più pertinente tu potessi scrivere e ci sarebbe solo da augurarsi che diventassero morme per l’ etica umana.
    Grazie!

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  14. Tristezza, miseria, farneticazioni! Risuonano nell’aria le grida di scandalo della borghesia, più piccola che esista. Montagne di argomenti tali da “sommergere” quanto scritto… Dove di grazia? Lunga litania, piagnisteo, retorica, soliti vecchi arnesi buoni solo per non affrontare una realtà che molti si sono rifiutati di vedere, altri rifiutati di riconoscere, altri ancora che non vogliono neppure ricordare vivendo di rimozione (e noi vivremmo male…). Abbiamo voluto trattare un tema spinoso, con il coraggio di parlare senza reticenze moralistiche, non abbiamo fatto apologie e non siamo entrati nel merito (scripta manent, per noi il terrorismo fu “sbagliato e suicida”), abbiamo messo alla luce una realtà storica, scomoda, ma che tale rimane… Ma a lorsignori manca, è vero, il coraggio di guardare. Condannate, condannate pure, siete sempre e comunque coinvolti.

    MM

    P.S. Quanta pappa di cuore è scorsa in questi commenti! Ecco cosa accade a leggere malissimo Dostoevskij…

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  15. Caro Enno, nessun lapsus frEUdiano, non riduciamo a decine gli sterminati da monossido di carbonio e da Zyklon B di Auschwitz, facendo noi riferimento all’aspetto individuale dell’esecuzione di un ordine abbiamo immaginato la responsabilità diretta di un unterscharführer che si doveva fare carico dell’ingresso degli internati nella camera, che vista la capienza si trattava appunto di decine (dalle 50 alle 80 persone). E’ triste osservare come basti una lettura distratta per poter dare del nazista a qualcuno (a sproposito e, aggiungiamo, ben stupidamente)… Cordialmente.

    MM

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  16. Signor egolector, chi parla di luoghi comuni è lo stesso che ci accusa di riporporre schemi e “slogan” del secolo scorso (ritrito leitmotif) senza conoscerci? E’ quello, che insieme ad altri, è stato capace di bollarci di anacronismo in quattro e quatrotto solo perchè siamo dei lettori attenti del filosofo di Treviri? Magari sarà utile sapere che ci interessiamo anche di Foucault (e non di Josif Stalin, come molti avranno pensato). Trattati da “fiancheggiatori del terrorismo” (per usare slogan che si capiscano), ci immaginate con vecchi schemi, propri della vostra (evidente) moralità ipocrita e ambigua, ci vedete pregni di puzzo di vetustà sovietica… Cari signori, ci duole informarvi che a quell’odore di muffa sono le vostre coscienze ad avvicinarsi. Un mondo di pregiudizio, proprio evidentemente anche di chi fa della letteratura un pratico esercizio… E’ questa la cultura di chi legge? Convinti che la cultura politica non sia disgiunta dalla restante possiamo dire di trovarci di fronte a materiale di ben scarso valore… Saluti.

    MM

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  17. Ciao Ennore…facile ricordare le letture di altre persone ( e tu in questo blog non sei certo una persona comune) se le hai amate anche tu . Adolescente solitaria , la testa colma di sogni, quando leggevo i romanzi della Fondazione mi sembrava più reale e appetibile vedere scorrere le galassie dall’oblò di un’astronave, fare conoscenza con i giganti gassosi , tremare quando un’astronave si accingeva al balzo iperspaziale che uscire e divertirmi con i miei coetanei.
    Riflettendo sulle leggi della robotica ( rispetto alla discussione che è nata dal commento di MM) mi è venuta in mente la legge zero, introdotta in seguito da Asimov, che recitava : Un robot non può recare danno” all’umanità” né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, l’umanità riceva danno.
    Legge che si rivelò fatale anche per i cervelli positronici dei robot, danneggiandoli irrimediabilmente, poiché postulava la possibilità di violare la I legge in funzione di un bene più ampio e duraturo dell’intera umanità. In pratica, un robot potrebbe uccidere un essere umano, commettendo un danno effettivo e certo, a fronte di un ipotetico e incerto bene per l’umanità….molto in sintonia con alcune sanguinose utopie, mi pare.
    Cari saluti 🙂

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  18. Ci avete trattati come bestie, come dei boia, noi che davvero non ci meritiamo un appellativo tanto infame. Non abbiamo fatto apologie, lo ripetiamo, abbiamo solo risposto a chi ha messo sullo stesso piano due realtà storicamente e completamente differenti, incommensurabili appunto, che per fortuna anche qui qualcuno ha avuto il buonsenso di riconoscere tali (e ci riferiamo a luiginter, l’unico che ha prodotto un commento sensato seppur fortemente critico; prendiamo spunto per confermargli che l’ultima frase del nostro pezzo, come lui ha giustamente accennato, non è ridicola proprio per il motivo che lui ha evidenziato, proprio a quell’aspetto facevamo riferimento). Abbiamo usato un tono aspro, polemico, duro, è nel nostro stile, il linguaggio della lotta politica, ma questo non giustifica una condanna aprioristica che altro non ha espresso se non tanto moralismo e niente più. Abbiamo il coraggio di affrontare temi scomodi, come il riconoscimento della dignità delle persone che hanno scelto la lotta armata, una dignità che molti qui dentro, “paladini dei diritti umani” non è affatto disposta a riconoscere. Rinfacciate a noi le accuse che voi stessi meritereste… Quanto è ipocrita la vostra condanna delle armi, quando voi stessi legittimate e riproducete un sistema politico che basa sull’organizzazione della forza militare la gestione del dominio geopolitico degli Stati di cui fate parte… Non uccidere si è detto, vale sempre o c’è una deroga per l’esportazione della democrazia a suon di bombe al fosforo sulla popolazione civile? E parliamo di migliaia di vittime, uomini, donne e bambini. Dal canto nostro abbiamo almeno la coerenza, che invece di fare le anime belle (e ipocrite) della nonviolenza ci porta ad affermare la legittimità della pena di morte quando essa svolge una funzione storica, in tempo di guerra, in tempo di rivoluzioni, come era tra l’altro riconosciuta dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo prima del 2002 (in tempo di pace, sia chiaro, siamo i primi sostenitori della moratoria internazionale contro la pena capitale), ed è pleonastico aggiungere (ma lo facciamo comunque per evitare di suscitare immaginabili sciocchi vespai) che non era quello il caso della stagione degli anni di piombo e di quella attuale. Voi, signori, non avete espresso altro che il vuoto sdegno d’ordinanza della parte dell’”onesto cittadino” nel teatrino perbenista borghese, e avete avuto la faccia tosta di accusarci di non rispettare i diritti umani, noi che ci occupiamo dalla mattina alla sera della condizione e dei diritti (degli uomini in concreto e non solo dell’Uomo in astratto come fate voi) del prossimo, delle persone di tutto il mondo. Vi lasciamo alle vostre condanne e alla vostra coscienza sporca, noi non abbiamo nulla da rimproverarci.

    MM

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  19. Gli approcci di tipo conoscitivo (scientifico-storico) e valutativo (etico – politico) verso la lotta armata sono sempre interessanti da leggere. Osservo inoltre che sul carattere autorealizzante delle politiche di centro dove il terrorismo all’ingrosso genera terrorismo al dettaglio i media si concentrano raramente, trascurandolo o ignorandolo selettivamente, e che le bombe di centro, la staticità e la grande stabilità del blocco del sistema politico che sono state mascherate dalla guerra civile fra camicie rosse e camicie nere non suscitano l’indignazione di molti.
    Il discorso di Magris potrebbe essere vicino a un tentativo di analisi interessante, ma non sottace un giudizio accusatore, moralistico e dogmatico, ed il paragone che adduce, tra lo stile del biglietto scritto serenamente da un padre che prega il figlio di comprargli un po’ di caffè se fa le spese, e che quindi è uno stile asciutto e poco lirico che non stacca i piedi da terra, e lo stile del testo che afferma la generosità delle intenzioni soggettive di chi ha inseguito un’illusione neopartigiana e si è macchiato di crimini nei confronti di esseri umani, è improprio ed irrilevante. Un paragone del genere presuppone un parallelismo tra le sensazioni che si percepiscono nei momenti in cui si scrivono le parole, tra gli stati d’animo da cui nascono le parole, e tra le esperienze da cui nascono quegli stati d’animo. Stajano pensava di tirarci la manica per farci sentire quanto colpisce la differenza tra il biglietto lasciato dal magistrato Guido Galli al figlio prima di andare incontro alla morte e la rivendicazione della generosità dei militanti della lotta armata: a me questo può sembrare inutile.
    Ritengo più corretto usare la dizione “lotta armata” non per proporre un termine maggiormente neutro, ma perché, per dirla con Costanzo Preve, il termine “terrorismo” è “un termine strumentale mediatico imposto dall’impero americano, e dai sionisti, per indicare tutti i loro nemici indistintamente (dai narcotrafficanti ai palestinesi, eccetera), e chi accetta il modo in cui l’impero nomina le cose dovrebbe seguire un corso elementare non solo di semantica, ma anche di storia”.

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  20. Per quanto riguarda il rifiuto dell’uso delle armi, l’interpretazione che Silvana ne dà non mi pare favorisca l’insorgere di sentimenti di preoccupazione e cura per l’altro… Nel linguaggio orwelliano moderno, il ripudio della violenza come strumento di lotta politica può significare scegliere il capitalismo e l’imperialismo. Cosa dovrebbero fare le persone che vivono nelle nazioni aggredite dai colonialisti che si beffano di ogni diritto internazionale quando all’aggressione perpetrata ai danni degli oppressi affiancano la missione speciale di “esportazione della democrazia”? Aspettare caritatevoli e pietistici ripensamenti da parte degli stranieri invasori, non ucciderli, ricordandosi delle leggi della robotica di Asimov, o del “rumore” del corpo di un passerotto che magari una volta si è schiantato contro il parabrezza della loro auto?… Come rispondere alla violenza sterminatrice? Tollerandola e lasciandola che rimanga un diritto esclusivo degli oppressori?… Arrendendosi agli oppressori?…
    La cultura europea (non certo solo il comunismo) ha sempre sostenuto un principio. Chi subisce la violenza dell’invasione o del genocidio, chi è vittima di un’oppressione ed è nell’impossibilità di impedirla diversamente ha il diritto di resistere, anche con le armi. Che alla “violenza” degli oppressori si oppone la “resistenza” (contro-violenza) degli oppressi è un fatto indipendentemente dal nostro volere.
    La violenza è originaria per costituire socialmente l’oppressione (l’ha formulato sostanzialmente molto bene non solo Marx, ma anche Hegel nella “Fenomenologia dello Spirito”), ed allora agli oppressi cosa resta oltre alla resistenza, “violenta” o “non violenta”, adattata ai vari casi e circostanze?
    Un mondo senza violenza è sempre più necessario, data la tecnologia bellica distruttiva alla moda. Non ci sono ostacoli ontologici alla possibilità umana di convivenza pacifica e solidale. Se ci spostiamo invece dal campo filosofico ed antropologico al campo storico e politico, pensare che un altro mondo sia possibile è sciocco, presuntuoso ed opportunistico.
    L’uomo “generico” sviluppa storicamente la sua genericità, ed in questo sviluppo storico ci sta anche la possibilità reale (in linguaggio aristotelico, “dynameion”) di poter costruire una società priva di violenza. Se l’uomo viene inteso da un punto di vista soltanto biologico si comincerà a dire che la cosiddetta “aggressività” è radicata nei suoi geni, ed a fare improprie comparazioni etologiche con i topolini aggressivi chiusi in una scatola, solo che il topolino non è un “ente naturale generico”, è specifico, ed invece l’uomo no. E se ne verrà più fuori?… Se si guarda l’uomo solo con il punto di vista del pessimismo storico alla Benedetto Croce o alla Norberto Bobbio si concluderà che siccome ha fatto per millenni migliaia di guerre continuerà senz’altro a farle: sarebbe nella sua “natura”. È dunque un ente naturale generico biologico-sociale.
    In via di principio è possibile espellere ed esorcizzare la violenza dalla storia (e penso alla storia contemporanea del presente in cui viviamo), in senso sociale ed antropologico; ma quando si è in presenza non di una opzione astratta (violenza sì oppure no?), ma di un fatto esterno a noi?…

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  21. Giusto MM, giusto Maria Serban, è inutile ricorrere alla formla zuccherosa e borghese della “sacralità della vita”. L’uomo o la comunità degli uomini si devono difendere dal male, quando è proprio necessario. E allora propongo uno stupido gioco piccolo-borghese. Valerio Morucci e Aldo Moro sulla torre. Leggiamo uno qualunque dei comunicati antimperalisti scritti da Morucci e una qualunque delle lettere di Moro inviate dalla prigionia alla moglie Eleonora. In quel momento la scelta implica la sopravvivenza stessa della comunità. Chi buttereste dalla torre?
    P.S. Al di là dei valori etici che l’uno o l’altro esprime, consiglio di valutare semplicemente la buona scrittura.

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  22. @ Maria Serban :
    Ho letto adesso,per puro caso, il mio nome sul tuo commento e sinceramente non sono attrezzata e non ho neanche il tempo -purtroppo- per dare una risposta minimamente adeguata a domande così articolate a livello antropologico, filosofico, politico…mi sento un po’ come l’animale più debole del branco sul quale è caduto l’artiglio del leone : in fondo sono una persona banale che crede di trovare nei libri la felicità.
    Posso dire solo che :
    ● non mi sono mai trovata in una situazione di violenza sterminatrice , potrei solo ipotizzare una mia risposta…certamente difenderei la mia vita o quella di chiunque altro in una situazione di pericolo reale.
    ● visceralmente so che potrei mettere a repentaglio la mia, di vita, per qualcuno o qualcosa e che l’istinto di sopravvivenza non si discute; per il resto penso che il Mahatma Gandhi , pioniere del satyagraha,, fondato sulla “satya” (verità) e sull’”ahimsa” ( non-violenza), lo preferisco al Che, anche se quest’ultimo , durante l’adolescenza, è stato uno dei miei miti.

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  23. Cara Maria, banale è stata la mia provocazione che, come giustamente dici, difetta di ragionamento filosofico, politico e antropologico. Quello che scrivi in questa replica condivido in pieno. Anche io, come te, cerco nei libri solo momenti di felicità e spunti di pacata riflessione. Spero che tu senta dalla zampa del leone una leggera carezza al posto del feroce artiglio.

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  24. Ho sbagliato destinatario. Credevo fosse maria Serban a scrivere. E invece è stata Silvana, che ancora una volta di più si conferma come l’anima vera di questo gruppo. Confermo tutto, ma raddoppio la portata della carezza.

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  25. Se, sempre citando sempre il Mahatma, “occhio per occhio il mondo diventerebbe cieco” chissà cosa potrebbe diventare , questo mondo , “carezza per carezza”…
    Cordialità.

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  26. Al dibattito, chiuso esemplarmente da Silvana (“chissà cosa diventerebbe il mondo carezza per carezza”) aggiungo solo questa segnalazione: sul numero oggi in edicola di “Alias” compare un’interessante intervista a Renato De Maria, il regista del film su “Prima Linea”, che forse corregge alcune preoccupazioni di Magris, almeno sul piano delle intenzioni registiche. De Maria dice di aver voluto raccontare una vicenda storica circondata da un “senso di inevitabile catastrofe”, la discesa agli inferi di una generazione (ma sarebbe meglio dire: di una parte, e molto minoritaria, di una generazione) che “ha scambiato il tramonto con l’alba” ed è precipitata in un baratro da cui non ha potuto più uscire. Bisognerà vedere il film, naturalmente, per poter dire se, come temeva Magris, ci sono in esso tracce di “falsa e zuccherosa comprensione” o di “melliflua approvazione” verso il terrorismo. A detta del regista il film vorrebbe essere un’incursione nel tragico, più che nel dolciastro. E occorrerà vedere il film soprattutto per dire se è, o meno, un buon film. Mi sembrano comunque sempre da condannare gli episodi di censura che hanno costellato la produzione e la programmazione del film.

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  27. egolector :Al dibattito, chiuso esemplarmente da Silvana (”chissà cosa diventerebbe il mondo carezza per carezza”) aggiungo solo questa segnalazione: sul numero oggi in edicola di “Alias” compare un’interessante intervista a Renato De Maria, il regista del film su “Prima Linea”, che forse corregge alcune preoccupazioni di Magris, almeno sul piano delle intenzioni registiche. De Maria dice di aver voluto raccontare una vicenda storica circondata da un “senso di inevitabile catastrofe”, la discesa agli inferi di una generazione (ma sarebbe meglio dire: di una parte, e molto minoritaria, di una generazione) che “ha scambiato il tramonto con l’alba” ed è precipitata in un baratro da cui non ha potuto più uscire. Bisognerà vedere il film, naturalmente, per poter dire se, come temeva Magris, ci sono in esso tracce di “falsa e zuccherosa comprensione” o di “melliflua approvazione” verso il terrorismo. A detta del regista il film vorrebbe essere un’incursione nel tragico, più che nel dolciastro. E occorrerà vedere il film soprattutto per dire se è, o meno, un buon film. Mi sembrano comunque sempre da condannare gli episodi di censura che hanno costellato la produzione e la programmazione del film.

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  28. Scusate il pasticcio telematico…ho un commento epidermico, e come tale privo di riflessione: ho apprezzato lo svilupparsi del dialogo attorno a questo post ma ho una certa stanchezza, come cittadina, che mi porta ad evitare anche un film come questo.

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