Sono sempre stata una fan di Amélie Nothomb, ogni anno puntuale come un orologio sforna un nuovo titolo, che cerco sempre di comprare (senza pensare al rapporto fra pagine e costo, che farebbe passare la voglia…). Negli ultimi anni sono rimasta entusiasta sia di *Né di Adamo né di Eva*, sia di *Acido solforico*, così quando a febbraio la Voland ha pubblicato *Causa di forza maggiore* ho superato lo scoglio del prezzo e mi sono precipitata in libreria.
Mmmmh. Non mi ha convinta. Sarà che dopo qualche anno ho cambiato gusti. Sarà che in questo momento non ero nel mood giusto. Sarà che quelli che mi sono sempre piaciuti di più sono i libri ambientati in Giappone _paese che prima o poi spero di visitare. Fatto sta che quest’ultima opera non solo non mi ha convinta, ma mi ha pure innervosita.
Non amo infatti i libri troppo surreali, e questo era veramente troppo per i miei gusti. Ok, penserete, allora come fa a piacerti la Nothomb? Non so, mi piace la sua vena un po’ stramba e i suoi gusti un po’ cinici, ma questo è veramente assurdo.
La storia sembra semplice: Baptiste, il protagonista, apre la porta a uno sconosciuto che ha bisogno del telefono, prima di riuscire a parlare nella cornetta muore d’infarto. Memore di un dialogo avuto la sera precedente con un uomo che pontificava su cosa fare in caso di morte accidentale di uno sconosciuto in casa, Baptiste segue i suoi consigli e non chiama né ambulanza né polizia, ma si appropria non solo del portafoglio del morto, ma di tutta la sua vita, sostituendosi a lui. In una villa da favola a Versailles, con una moglie bellissima che va avanti a forza di champagne che conserva in una piscina costruita allo scopo.
Detto così, mi sembrava intrigante. Ci sono degli spunti interessanti, però ho trovato la trama troppo sconclusionata, e i personaggi troppo irritanti, tanto da farmi venir voglia di abbandonare il libro.
Non l’ho fatto, però non lo consiglio, se non ai fedeli appassionati della Nothomb.
*giuliaduepuntozero
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