Che si dice sul blog, mi chiede Bianca, di Firmino e del suo plagio presunto (ai danni de La bibliotecaria di Ciccarone)? Per ora ancora nulla, mi pare, e così rompo il ghiaccio, anche se Firmino (di Sam Savage, Einaudi editore) non ho finito di leggerlo e quindi sospendo il giudizio sull’esito di questa lettura, a proposito della quale penso comunque di poter condividere ciò che ne dice Fofi sul “Sole 24 ore” di oggi. In realtà anche circa l’accusa di plagio sono abbastanza scettico: sia in generale (a parte alcuni casi patenti e dolosi, spesso più che di plagio si tratta di una sorta di circolazione omeostatica e di ripetizione delle idee e dei temi, e l’idea di Firmino naviga da un pezzo nel mare editoriale), sia in particolare (quel che si sa della biografia dell’autore, e dello stato di necessità sotto cui ha scritto il libro, oltre alla sua ignoranza della lingua italiana, induce a dubitare di un plagio conclamato). Piuttosto mi sembra che Fofi abbia posto un tema importante e degno di discussione a partire da Firmino: secondo lui si tratta di un libro volto a compiacere i lettori forti, che così si sentono migliori degli altri. “Ma il vecchio luogo comune – dice Fofi – per cui «chi legge è migliore di chi non legge» io non mi sono mai sentito di sottoscriverlo”. Fofi ha perfettamente ragione a dire che ci sono analfabeti colti che sono più lettori di molti lettori (in realtà leggono senza saperlo), ma sbaglia, secondo me, nel dipingere i lettori forti come manducatori e deglutitori indifferenziati di un libro dopo l’altro. Fofi confonde i lettori forti – che sono per natura lenti e selettivi, anche se quando hanno fame mangiano con un robusto appetito – con i divoratori di best seller, cioè con il loro esatto contrario.
Ma c’è un punto – su cui già in questo blog alcune volte si è discusso – che è ancora più importante: se leggere (e leggere in un certo modo) non rendesse gli uomini (almeno un po’) migliori, non andrebbe perduta una parte decisiva del senso della lettura, della sua etica? Noi non sappiamo quale sia il modo attraverso cui questo miglioramento accade, se accade, e sicuramente è qualcosa di molto lontano da ogni didattica e da ogni proselitismo. Noi sappiamo anche che non sempre ciò è vero e sappiamo che, come ci ha ricordato Adorno, i gerarchi nazisti, dopo aver ascoltato Bach e letto Hegel, andavano a fare il loro quotidiano “lavoro” nei lager. Cioè sappiamo che non c’è nessun automatismo e che l’etica della lettura, essendo appunto un’etica, richiede decisioni e scelte consapevoli. Che ci sono semi che non attecchiscono. Che ci sono interessi o ordini più forti delle letture. Ma senza la speranza che esista o possa esistere un nesso tra lettura e formazione delle coscienze, noi ci priveremmo di una componente essenziale della lettura, che è quella utopica: disegnare un mondo altro e cercare di cambiare quello che abbiamo di fronte.
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