Il romanzo ci guarisce dall’illusione di essere autosufficienti

Ancora una nota a proposito del lbro di Tzvetan Todorov, La letteratura in pericolo.
Todorov ci ricorda (pag. 69) che il filosofo Richard Rorty ha descritto il contributo della letteratura alla nostra comprensione del mondo in termini di guarigione dal nostro “egotismo”, inteso come illusione di autosufficienza, più che in termini di conoscenza (Richard Rorty, “Redemption from Egotism. James and Proust as spiritual exercises”).
I personaggi che incontriamo nei romanzi li scopriamo dall’interno, osserviamo ogni azione dal punto di vista del suo autore. E quanto più questi personaggi sono diversi da noi tanto più ci allargano l’orizzonte, arricchendo il nostro universo.
E’ un “allargamento interiore” che non si formula in affermazioni astratte ma rappresenta piuttosto “l’inclusione nella nostra coscienza di nuovi modi d’essere accanto a quelli consueti”.
Secondo Rorty questo tipo di apprendimento che ricaviamo dal romanzo non riguarda tanto il contenuto del nostro essere quanto il modo di percepire: non una nuova forma di sapere “ma una nuova capacità di comunicare con esseri diversi da noi”. Quindi, l’orizzonte ultimo di tale esperienza non è la verità, ma l’amore, forma suprema del rapporto umano, che si intravede ogni volta che il discorso narrativo descrive un universo umano particolare, differente da quello del soggetto che legge.

Pensare e sentire adottando il punto di vista degli altri, essere umani in carne e ossa o personaggi letterari, è il solo modo per tendere verso l’universalità.

Leggendo i romanzi e i racconti tendiamo dunque verso l’universalità; verso quelle “comunità più inclusive” che Rorty ha altrove descritto come percorso di progresso morale (“Progresso morale: verso comunità più inclusive”, in Verità e Progresso. Scritti filosofici, Feltrinelli).

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2 risposte a “Il romanzo ci guarisce dall’illusione di essere autosufficienti”

  1. Jung ha scritto “Il livello di coscienza già raggiunto, non importa dove, costituisce il limite estremo della conoscenza che i morti possono raggiungere. Questo è probabilmente il motivo per cui la vita terrena ha un così grande significato, ed è così importante che cosa un uomo ´porta con sè`nella morte.”
    Personalmente, se non mi potessi portare dietro tutte le esperienze dei romanzi che ho letto, sarebbe dura farmi compagnia nell´aldilà…

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  2. Punto di vista interessante, quello di Rorthy. Mi ha ricordato certi passaggi della filosofia buddista. Perfetto il fine, quanto alla pratica, mi allineo a Dora: credo di dover leggere ancora molti libri per arrivare a quell’universalità e a quella capacità di ascolto… Intanto, sto con quello che c’è, imparando ad accettarlo nella sua diversità… E’ già un inizio 😉

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