Comunità, identità preponderante e dialogo: I rischi che si corrono se si punta su una sola appartenenza

Ieri mattina, su Repubblica, quando ho visto l’articolo John Lloyd, “Il fallimento del melting pot”, dedicato a una nuova ricerca di Robert Putman – quello del “capitale sociale” di Bowling alone (Capitale sociale e individualismo. Crisi e rinascita della cultura civica in America, Il Mulino, un libro citato anche, se non ricordo male, da Paul Ginsborg nel suo Il tempo di cambiare, letto un po’ di tempo fa dal gdl di Cologno); quando ho visto quell’articolo, dicevo, mi è subito venuto in mente quanto sia importante la riflessione di Amartya Sen sull’identità, svolta nel suo Identità e violenza, Laterza, attorno al quale si è costituito a Cologno Monzese un nuovo gruppo di lettura.

Già, perché, la nuova ricerca di Putman in fondo conferma i limiti descrittivi e di pratica politica dell’idea che ogni individuo abbia (debba avere) una categoria di appartenenza preponderante, che schiaccia tutte le altre identità concorrenti.

Categoria di appartenenza preponderante che oggi sembra dover essere necessariamente la religione o in alternativa (intesa quasi come sinonimo in realtà) la cosiddetta civiltà, o l’etnia.
Ecco, prima di tutto da un punto di vista descrittivo e interpretativo si deve uscire da questo errore. Quello che Sen più volte sottolinea: è veramente un dato di fatto che gli individui debbano avere una sola identità preponderante (scelta o imposta “naturalmente” o per tradizione)? Non è più vicino alla realtà il fatto che si abbiano più identità concorrenti con la correlata possibilità – per ogni singolo – di scegliere il peso relativo di ciascuna di queste appartenenze?

Questa molteplicità di appartenenze oltre che restituire un quadro più veritiero dovrebbe diventare uno strumento di politica sociale, aiuterebbe immensamente in un momento come questo di conflitti identitari che non hanno nulla di “inevitabile”, di “naturale” ma che sono frutto di scelte politiche estremistiche e “incendiarie”, come le chiama Sen.

Lo stesso Putman, citato da Lloyd nell’articolo di Repubblica, ammette che quando le politiche hanno scelto di privilegiare l’emergenza di molteplici di identità l’integrazione, razziale, per esempio, è risultata più semplice ed efficace. Il caso menzionato è quello dell’esercito americano dove oggi le linee etniche non contano quasi più nel determinare l’associarsi degli individui.

Naturalmente ci ritorniamo

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Una replica a “Comunità, identità preponderante e dialogo: I rischi che si corrono se si punta su una sola appartenenza”

  1. Caro Luigi,
    non ho letto l’articolo che citi e nemmeno il libro Amartya Sen, ma la tematica dell’IDENTITA’ mi interessa molto perche’ quest’anno nel nostro gruppo ci occuperemo della letteratura sudamericana e la prolusione del corso vertera’ proprio sull’importanza del romanzo e della buona letteratura per la conoscenza e quindi la conseguente accettazione, di mondi e gente diversi da noi.
    Ti cito una frase di Pamuk, scrittore turco che e’ nella rosa dei
    candidati al Nobel per la letteratura di quest’anno, che dice: “..la grande letteratura non parla alla nostra capacita’ di giudizio bensi’ alla nostra abilita’ di mettersi al posto di un altro”.
    Infatti e’ nel momento in cui io mi astengo dal giudizio che ho la
    possibilita’ di accogliere modi, culture e costumi diversi dai miei, ma non e’solo questo, perche’, come dice sempre Pamuk, leggendo autori di diversi paesi e culture, non solo veniamo a conoscere il loro mondo, ma “noi perveniamo a comprendere i principi che governano il mondo nel quale viviamo. ….Iniziamo, senza accorgene ad evocare la collettivita’, la nostra nazione e le societa’ a cui apparteniamo”.
    Come e’ successo a me, per fare un esempio personale, leggendo gli
    autori sudamericani. Ho scoperto come la loro partecipazione alla vita sia totale: amore, passioni, sesso, i sentimenti vissuti senza
    finzioni, la morte come parte integrante delle vita, la natura vicina all’uomo nel bene e nel male, e il tutto vissuto in maniera piena e vitale. Anche le descrizioni del sesso, pur cosi’ vivide non risentono mai di pruderie o voyerismo, ma sono raccontate in maniera naturale.
    Tutto cio’ mi ha fatto pensare alla nostra societa’ (alla mia) cosi’
    rarefatta e un po’ artificiale, distante dalla natura, dalla morte cosi’ …cartesiana e complicata.
    Ed e’ qui che si compie la funzione del romanzo, poiche’ anche solo
    riflettere su questo ci da modo di vedere la realta’ del nostro tempo e del nostro mondo con altri occhi.
    Mi scuso per la lunghezza: Ciao Adele

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