Il riscatto di Ivan Il’ič

Ogni libro crea un microcosmo particolare per ogni lettore e la rilettura ti obbliga a soffiare sulla polvere dell’esperienza precedente per ricrearne una nuova di zecca.

L’idea di questo post nasce da un articolo di Paolo Nori (scrittore, traduttore ed esperto di letteratura russa) pubblicato su un quotidiano all’inizio di novembre, dal titolo: A cosa servono i russi e Tolstoj. Impossibile non leggerlo. Nel testo, tra le molte suggestioni, si parlava di Ivan Il’ič. Credo di aver letto questo racconto una trentina di anni fa, così ho pensato che sarebbe stato opportuno rinfrescarsi la memoria. Che effetto mi avrebbe fatto? Non ne avevo idea, ma di una cosa ero certa: sarebbe stato tutto diverso.

Ogni libro crea un microcosmo particolare per ogni lettore e la rilettura ti obbliga a soffiare sulla polvere dell’esperienza precedente per ricrearne una nuova di zecca. Ed eccomi quindi con il libro in mano a osservare la copertina.

Cominciamo dal titolo. Umberto Eco diceva che un romanzo è una macchina per generare interpretazioni e che l’autore non dovrebbe fornire chiavi di lettura della propria opera. Alcuni scrittori però preferiscono indirizzare il lettore dal momento zero, proprio a partire dal titolo. Ed eccoci qui: la morte di Ivan Il’ič. Dunque già da subito si capisce che la protagonista sarà la grande mietitrice. E chi è il malcapitato che finirà sottoterra? Un consigliere di corte d’appello di San Pietroburgo. “Accidenti, è morto, noi no invece” bisbigliano con un sollievo vicino alla gioia i suoi colleghi. Ma che peccato. Una persona ammodo, comme il faut: ha una vita normale, semplice (“la più terribile” osserva divertito Tolstoj). È un professionista coscienzioso, che esegue a puntino tutto ciò che ritiene suo dovere. Non è meschino, né intrigante nemmeno  autoritario, nonostante la sua posizione. Scrupoloso e formale sul lavoro, frivolo e spiritoso nel bel mondo. Sussiegoso verso i suoi capi ma altrettanto rispettoso verso i dipendenti. Qualche peccato di gioventù? Sì, certo ma si era trattato di cose di poco conto: 

“Tutto veniva fatto con mani pulite, con camicie pulite, con parole francesi e soprattutto nella più eletta società”.

Eh già, perché Ivan Il’ič ha un debole. Fin da ragazzo prova un’irresistibile attrazione “pari a quella della mosca per la luce” verso le persone altolocate. Una piccola lacuna, in fondo. Ha una moglie che detesta e dei figli che ignora, tutto secondo le regole. La sua vita comme il faut scorre su binari tranquilli: in modo decoroso ma piacevole, tra un’udienza in tribunale, una partita a carte con gli amici o una cenetta nel salotto della migliore società. Ogni giorno è uguale all’altro: prevedibile, perfetto, incolore.

Tranne uno: una piccola caduta da una scaletta gli fa battere il fianco contro la maniglia di una finestra. Una cosa da nulla, pensa lui, giusto un livido. “Non per niente, sono un ginnasta”, racconta vanagloriosamente alla consorte. Ma ecco che quella scivolata diventa il granello di polvere che fa inceppare l’ingranaggio oliato della sua esistenza. Da imprevisto di poco conto quell’incidente, in un crescendo magistrale, diventa dolore, malanno, malattia grave, fino a rivelarsi un morbo fatale. Su uno sfondo ormai grottesco illuminato dallo scintillio dei gioielli della moglie, dal fruscio della seta dei vestiti della figlia, dalle chiacchiere insensate del luminare di turno, ormai il velo della sua irreprensibile vita è squarciato: ed eccola là, finalmente entra in scena la protagonista del libro. La fine è lì che lo attende, con la falce luccicante in mano, paziente, calma, inevitabile.

Da qui in poi Ivan Il’ič diventa ufficialmente “malato”. I sani lo scansano, alla meglio lo compatiscono. Quel dolore sordo diventa il compagno fedele delle sue interminabili giornate in cui vagheggia, in ogni pensiero e immaginazione, una guarigione impossibile. “Mi dedicherò al lavoro, è sempre stata la mia vita” si diceva il consigliere. Ma poi, d’un tratto ecco il dolore al fianco, la malattia, che non prestava la minima attenzione ai lavori processuali, ricominciava il suo lavoro, un lavoro da roditore”. 

“Ma come è possibile, se ho sempre fatto tutto secondo le regole” si disperava Ivan Il’ič.

A sipario calato, la finzione della sua esistenza è lì davanti ai suoi occhi in tutta la sua crudezza. Nell’inutilità della sua stanza, dei broccati, delle tendine e delle tappezzerie. Nell’eco delle risate fuori dalla porta, nel tintinnio dei bicchieri, nel rumore dei tacchi sul pavimento tirato a lucido, nell’intera vanità di una vita senza senso. Ma ecco che nella solitudine dell’agonia (“una solitudine in mezzo a una città piena di gente, in mezzo a innumerevoli conoscenti, in mezzo ai familiari – una solitudine che non avrebbe potuto essere più completa, in nessun altro luogo, né in fondo al mare né sottoterra”) arrivano il riscatto, l’emancipazione, l’affrancamento, la liberazione. Quella sua vita piena di regole, di correttezza e di decoro, è stata “un orribile enorme imbroglio”. E questa consapevolezza, di colpo, fa cessare il dolore, cancella lo sgomento della fine, azzera l’angoscia del trapasso. 

“Cercò la sua solita paura della morte e non la trovò. Dov’era? Ma quale morte? Non c’era nessuna paura, perché non c’era neanche la morte. Invece della morte, c’era la luce. “Ah, è così!” esclamò a un tratto a voce alta. “Che gioia!”.

Le citazioni sono prese dall’edizione Garzanti tradotta da Giovanni Buttafava.

Qui trovate i miei post precedenti: https://gruppodilettura.com/author/theleeshore/

Commenti

Una replica a “Il riscatto di Ivan Il’ič”

  1. Avatar Consigli di lettura dal gruppo ”grandi libri” – GRUPPO DI LETTURA

    […] La morte di Ivan Il’ic, di Lev Nikolàevič Tolstoj, (varie edizioni, per esempio: Garzanti, 144 pp.) (qui) […]

    "Mi piace"

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Scopri di più da GRUPPO DI LETTURA

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continua a leggere