Due nuovi libri sui Rohingya in Myanmar invitano a riflettere sulle derive autoritarie e aggressive contro le minoranze, fondate sull’idea del maggioritarismo.
Ne scrive Mukul Kesavan sulla New York Review of Books del 18 gennaio 2018.

Azeem Ibrahim, The Rohingyas: Inside Myanmar’s Genocide (Hurst, revised and updated edition, 239 pp);
(A cura di) Melissa Crouch, Islam and the State in Myanmar: Muslim–Buddhist Relations and the Politics of Belonging (Oxford University Press, 345 pp.).
Il titolo dell’articolo richiama esplicitamente il tema più ampio del quale di occupa Kesavan, che implica anche questioni di teoria della politica e filosofia: “Murderous Majorities”.
La portata della pulizia etnica nei confronti della minoranza Rohingya in Myanmar-Birmania (secondo alcuni osservatori si tratterebbe anche giuridicamente di un vero “genocidio”), rappresenta, scrive l’autore del pezzo della Nyrb, il trionfo delle politiche maggioritariste in Asia meridionale.
L’azione di persecuzione di questa minoranza musulmana ha reso Myanmar una sorta di modello per i partiti maggioritari in altri paesi, per esempio il Bharatiya Janata Party — il partito nazionalista indù al governo in India, che ha preso provvedimenti analoghi contro la minoranza Rohingya in India, ma che, in generale, si ispira da decenni a politiche maggioritariste nei confronti della minoranza musulmana (per quanto enorme minoranza) in generale nel paese.
Cos’è il maggioritarismo
In sostanza, il maggioritarismo è ciò che Alexis de Tocqueville chiamava “tirannia della maggioranza”. L’idea cioè che qualsiasi decisione apprezzata e sostenuta da una maggioranza possa essere imposta legittimamente a una minoranza. Le democrazie liberali hanno creato, contro questa deriva, una serie di regole e istituzioni perché le decisioni della maggioranza siano prese nel rispetto dei diritti delle minoranze.
In Asia meridionale oltre allo stato di Rakhine in Myanmar nei confronti dei Rohingya, le politiche di oppressione delle minoranze sono state praticate — con forme e intensità differenti — in India, Bangladesh, Sri Lanka e Pakistan.
La pulizia etnica ai danni dei Rohingya è quasi un modello di azione per altri partiti e movimenti dell’Asia meridionale, anche se pogrom e espulsioni forzate sono già state praticate altrove, in particolare in India, dove dagli anni ’80 ha perso forza il modello laico di Stato post-coloniale, nato dopo la partizione, che considerava tutti cittadini con i medesimi diritti, indipendentemente dal gruppo etnico o religioso di appartenenza.
Il Bharatiya Janata Party indiano, “portavoce” della maggioranza indù (ostile ai musulmani indiani), i nazionalisti singalesi buddisti in Sri Lanka (contro i tamil e i cristiani), ma anche i nazionalisti sunniti pakistani (contro le sette musulmane “eretiche”) o in Bangladesh (prevalentemente contro i cristiani), agiscono con il progetto politico di favorire i presunti diritti superiori della popolazione più numerosa.
Il gruppo che rappresenterebbe, secondo la visione maggioritarista, l’unica vera espressione della cultura, della religione del paese. L’unico ad avere il diritto alla cittadinanza, che viene negato (o riconosciuto in forme limitate) ai gruppi minoritari.
I movimenti maggioritaristi giustificano decisioni discriminatorie e anche violente anche indicando le minoranze come capri espiatori per le condizioni economiche cui soffrirebbero i ceti più poveri del gruppo di maggioranza, che vengono in genere accusati di sottrarre posti di lavoro o, quando, membri delle minoranze ricoprono ruoli di rilievo nell’economia e nella società, di sfruttare i cittadini del gruppo di maggioranza. Sovente accusando anche i governi non maggioritaristi di aver trascurato i cittadini del gruppo maggioritario a scapito delle minoranze “privilegiate”.
Il maggioritarismo nell’era del populismo
Resta da osservare come il progetto maggioritarista sia piuttosto vicino a quello dei movimenti della destra nazionalista al potere in Europa orientale — soprattutto in Polonia e in Ungheria — e di quelli presenti anche in vari paesi dell’Europa occidentale, come la Francia, la Germania e l’Italia.
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