La dissonanza nella musica e nella letteratura

In musica una dissonanza è la combinazione di due o più suoni non in armonia tra loro. Il risultato è un suono finale che risulta strano, anomalo, fastidioso. In chi lo ascolta la fronte si corruccia e la bocca si storce. A volte. Già, perché in realtà la dissonanza è molto di più. Quando è casuale è solo una combinazione non armonica di suoni, ma quando è voluta assume uno specifico valore musicale. Esprime un sentimento, un’intenzione di rottura, di mutazione. Nella letteratura, oserei dire, il discorso non cambia.

L’idea di affrontare questo tema mi è venuta leggendo il New York Times. Nell’articolo Musical dissonance from Schumann to Sondheim, (che vi consiglio di leggere e soprattutto guardare e ascoltare i video) si affronta proprio il tema della dissonanza usata dai vari compositori in modo diverso man mano che i secoli passavano, la storia segnava e caratterizzava le epoche e la musica aveva bisogno di sperimentare: dalla dolcezza di alcune dissonanze del ‘700 alla loro maggiore abbondanza verso la seconda metà dell’800 (un giornale di Boston nel 1883 criticava un’opera musicale come “piena di irritanti e fastidiose dissonanze” e si trattava della meravigliosa Prima Sinfonia di Brahms) fino agli eccessi nel loro uso nella musica contemporanea passando per il jazz che ne ha esaltato le virtù.

La preponderanza della dissonanza sulla consonanza ha caratterizzato il linguaggio della maggior parte della produzione del Novecento tanto da creare una profonda frattura con la musica precedente

spiega il pianista Giuseppe Scotese in un suo articolo.

IL VIDEO:

dissonanza
Clicca sul foto per guardare “La dissonanza: Stravinsky, Bach e Mozart”

Gia un secolo prima Leopardi, che di musica sapeva davvero poco come ammette lui stesso ne Lo Zibaldone (da cui sono tratti questi passaggi) diceva di comprendere

… come quel diletto e quel bello della musica, che non si può ridurre né alla significazione, né a’ puri effetti del suono isolato dall’armonia e melodia(…), derivi unicamente dalla abitudine nostra generale intorno alle armonie, la quale ci fa considerare come convenienti fra loro quei tali suoni o tuoni, quelle tali gradazioni, quei tali passaggi, quelle tali cadenze ecc. e come sconvenienti le diverse o contrarie ecc. osservate. Le nuove armonie o melodie (che già si tengono per rarissime) … a prima vista paiono discordanze, quantunque siano secondo le regole del contrappunto (…)

(…) E così il giudizio e il senso della melodia sempre nasce e dipende ed è determinato dall’assuefazione, o dalla cognizione di leggi che non hanno la loro ragione nella natura universale, ma nell’accidentale e particolare uso presente o passato (…)

(…) E notisi che nulla va nella musica, sia nell’armonia sia nella melodia, che universalmente da tutti i popoli civili e barbari sia riconosciuto e praticato, o che in tutti faccia effetto.

E conclude:

È piacevolissima la vista di una moltitudine innumerabile, come le stelle, o di persone ecc. un moto moltiplice, incerto, confuso, irregolare, disordinato, un ondeggiamento vago ecc., che l’animo non possa determinare, né concepire definitivamente e distintamente ecc.(…) Similmente una moltitudine di suoni irregolari mescolati, e non distinguibili l’uno dall’altro (…)

La necessità dell’uso della dissonanza viene dalla realtà vissuta. Nei primissimi anni del Novecento il mondo vive una fase di disordini, di crisi di ideologie. Ha bisogno di paradossi, di ironia pungente, di contrasti che aiutino a disegnare il conflitto interiore. E nella letteratura accade esattamente lo stesso processo.

Prendiamo Pirandello: nel parlare dell’ironia la definiva “l’arte della dissonanza”. I suoi personaggi sono raccontati nelle loro più aspre contraddizioni, psicologiche, fisiche, caratteriali. Nei loro contrasti. E certo non si può dire siano “brutti” personaggi, o “sbagliati”, o “pensati male”.

E facciamo un salto in Kafka con le descrizioni delle sofferenze e dei contrasti interori, del continuo senso di colpa e di condanna del vivere, della continua guerra interna dell’animo dove tutto stride, non si risolve, esattamente come due note non armoniche tra loro. Attendono l’accordo successivo per rilassare l’armonia e l’orecchio. Un accordo che spesso non arriva. Come per Josef K (Il processo) non arriverà la giustizia e per lo scarafaggio Gregor Samsa (Le metamorfosi) il ritorno alla vita reale.

dissonanze-def

Thomas Harrison, su questo tema, ha scritto un libro che è stato presentato anche su questo Gdl: 1910, l’emancipazione della dissonanza.

Il tema è presto detto: il 1910 è l’anno che segna il cambiamento. Alle porte la Prima guerra mondiale, tutto sta per disfarsi:

La letteratura – specialmente la poesia – le arti figurative, la filosofia, la musica, la scienza e prima ancora la vita stessa dell’occidente esplodono, sconvolte, liberate, resuscitate dalla rottura di ogni ordine armonico e di ogni armoniosa consonanza…

ci dice Harrison. È così che scrittori come Nietzsche, Kandisky, Kafka, Rilke “hanno intrepidamente emancipato la dissonanza, in ogni campo; dissonanza che a loro volta li ha emancipati, li ha liberati interiormente”.

Dunque non più qualcosa che fa arricciare il naso e corrucciare la fronte in nome di principi universali, ma qualcosa che legittima un’emozione contrastata. Della quale prendere atto e consapevolezza del significato. E imparare ad amare.

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2 risposte a “La dissonanza nella musica e nella letteratura”

  1. Leopardi la sapeva lunga, pur senza conoscere profondamente la musica. E neanche io, che di musica sono solo un fruitore, mi sono mai fidato di ciò che suona “orecchiabile” giungendo alla conclusione che l’orecchiabilità non è che la risoluzione “attesa” di un qualsiasi fraseggio musicale, la sua “soluzione” più ovvia e scontata, quella comunemente adottata, quella che non sconvolge le abitudini del nostro senso uditivo. Qualcosa di molto vicino a quel che nella citazione dallo Zibaldone qui riportata viene chiamata “assuefazione”.
    Chi ama veramente la musica, così come tutte le arti, viene colpito da ciò che è inconsueto, la nota o l’accordo inatteso, lo stile mai prima incontrato.
    Nel primo novecento si assiste a un mondo in disfacimento che chiede regole nuove che si confacciano a un mondo nuovo, perché sente sulle sue spalle l’anacronismo della cultura imperante, il suo odore di muffa e la sua consistenza stantia. Ma già da prima del 1910 in musica erano state introdotte scale ed accordi non proprio del tutto consueti (Wagner, Mahler, …). A cavallo tra la fine dell’800 e i primissimi anni del nuovo secolo Charles Ives scriveva già musica apertamente dissonante (e naturalmente venne ignorato).
    Ancora prima i canoni classici dell’arte pittorica vengono sconvolti dagli impressionisti, anche se le vere e proprie prime avanguardie (e così in letteratura) nascono a ridosso di quel grande sconvolgimento che fu la prima guerra mondiale (e poi la rivoluzione russa).
    Il forte idealismo legato alla potenzialità di un mondo nuovo da erigere dalle fondamenta fa da propulsore al proliferare di nuove scuole e di nuove regole, in spregio di ciò che è morto, e sepolto dalle rovine del vecchio ordine ormai in frantumi.
    Nel secondo dopoguerra, e ancor più dopo la guerra fredda, abbiamo assistito poi al completo disfacimento del vecchio mondo, anche se il nuovo è ben lontano da quei sogni idealistici immaginati dalle avanguardie. E’ in questo contesto che anche i vecchi canoni, le vecchie regole, sono crollate, ma senza che se ne siano affermate di nuove. Gli artisti di punta hanno mirato al superamento di qualsiasi regola e la sorpresa non è più tale, non incanta più nessuno. La trasgressione non trasgredisce più nulla, perché ci siamo tristemente assuefatti pure a questa.
    La totale mancanza di regole condivise ci ha tolto il piacere di andare a scoprire quale regola specifica venisse stravolta in una determinata opera, in un determinato contesto, che era un po’ il sale nella fruizione dell’arte stessa (e per farlo le regole bisognava anche conoscerle, prima di apprezzare la loro trasgressione).
    Per questo, forse, è più difficile, oggi, riconoscere le opere che resisteranno nel tempo, quelle che continuiamo a chiamare “capolavori”.

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  2. L’ha ribloggato su BLOGregular …RELOADED!e ha commentato:
    ottimo lavoro!

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