È un giorno difficile e non ho potuto pensare a Gabriel García Márquez, morto ieri a Mexico, DF.
Comincio a farlo ora sperando di ricavare dalla mia memoria di lettore qualche idea.
Per esempio quella relativa al modo in cui Gabo mi ha rivelato William Faulkner. Il che è un po’ come dire che nel confronto con Gabriel García Márquez ho una specie di senso di colpa, che potrei definire: un atto mancato di rilettura di Cent’anni di solitudine.
Sì perché Cent’anni di solitudine lo lessi a 16 anni – in molti della mia fascia d’età l’abbiamo letto a sedici anni. Ma un libro di quella complessità non basta leggerlo una volta; soprattutto se lo hai letto a sedici anni, quando sentivi di doverlo leggere.
Perché era un libro-evento. Un libro rivelazione. Un libro da leggere subito, in quegli anni quando la letteratura, soprattutto quella di qualità, era un fatto con cui fare i conti, un consumo insieme alto e popolare.
Anni segnati da un’urgenza politica anche nei consumi culturali. Cent’anni di solitudine era un libro da leggere.
A sedici anni, comunque sia, Cent’anni di solitudine è un libro che apprezzi. Ma per qualche motivo non fu “il libro” della mia adolescenza. Affascinante, avvolgente, magico. Ma non decisivo.
Tuttavia, qualche anno dopo – forse al momento del Nobel a Gabo, nel 1982 – mi capitò di leggere che il mondo letterario di Gabriel García Márquez era stato influenzato parecchio da William Faulkner; e probabilmente in quell’articolo veniva spiegato in che modo Marquez fosse debitore di Faulkner, aldilà della superficiale analogia fra il territorio di finzione di Macondo e quello della Contea di Yoknapatawpha.
Si capisce come funzionano le scelte di lettura, come strade nuove che vediamo improvvisamente tracciate e sentiamo la necessità forte di percorrerle.
Ecco, in quel momento mi presentarono Faulkner e fu Faulkner a diventare lo scrittore che mi avrebbe accompagnato nell’età della lettura forte e consapevole. Faulkner sostituì i due scrittori dell’adolescenza, Remarque e Goncarov. Lasciando ai margini Marquez che pure Faulkner mi aveva presentato.
Negli anni successivi ho letto alcune altre cose di Gabriel García Márquez – Nessuno scrive al colonnello, Cronaca di una morte annunciata, Autunno del patriarca. Ma Cent’anni di solitudine è stato solo per qualche ora un’idea di “prossima (ri)lettura”, senza mai diventarlo veramente.
Eppure questa rilettura la devo a Marquez e forse anche ai miei sedici anni.
Come leggete voi Gabo?
Intanto altre cose dette in rete:
Rispondi