Il nuovo Papa Francesco, mi interessa molto (da ateo e laico). E mi sorprende. Anche se non ho dimenticato del tutto le ombre che forse ci sono sul suo passato argentino ma che, sembra, il tempo e alcune dichiarazioni di persone coinvolte hanno dissolto.

Mi attirano le sue parole e i suoi gesti. In modi e stili differenti prolungano ed estendono l’interesse e l’ammirazione che suscita un altro cardinale, Gianfranco Ravasi @CardRavasi.
Personalità davvero ricca e illuminata, e per molti una porta aperta sul pensiero e la prassi della Chiesa, Ravasi traccia sentieri per attraversare le divisioni fra la cultura atea e quella religiosa e favorire le conoscenze, il dialogo, la consapevolezza della complessità della condizione umana.
Fra le sue molte attività culturali, Ravasi scrive abitualmente sul domenicale del Sole 24Ore. E proprio la scorsa settimana (24 marzo 2013) ci ha proposto un esempio della sua attenzione per questo dialogo. Un articolo dedicato a Albert Camus (1913 – 1960), uomo e autore che incarna «un ateismo tutt’altro che agnostico e impermeabile alle grandi questioni della fede».
Nell’opera di Camus Ravasi è andato alla ricerca di «qualche squarcio della sua interrogazione, spesso tormentata, sulla trascendenza.»
E ne ha trovati di questi squarci. Ne La peste (1947), ne L’uomo in rivolta (1951), oppure nel Mito di Sisifo (1942) e ne Lo straniero (1942). Un invito a leggere o rileggere Camus con questa attenzione che risulta assai attuale.
Nel Mito di Sisifo il suicidio è al centro della riflessione filosofica:
«La levata, il tram, le quattro ore di ufficio o di officina, la colazione, il tram, le quattro ore di lavoro, la cena, il sonno e lo svolgersi del lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì e sabato sullo stesso ritmo… Soltanto che, un giorno, sorge il “perché?”…» E la questione viene allora posta in modo più radicale:
«O il mondo ha un senso più alto, o nulla è vero fuori di tali agitazioni»
E quando, in uno dei racconti de La caduta (1956), ci ricorda Ravasi, Camus scrive «Non aspettate il giudizio finale perché esso si celebra ogni giorno», si fa strada, secondo il cardinale, «una ricerca di una salvezza intrastorica che conserva, tuttavia, in sé i brividi della trascendenza.»
Salvezza che si affaccia dove si manifesta l’amore:
Ravasi cita i Taccuini (1937): «questo mondo senza amore è un mondo morto e giunge sempre un’ora in cui ci si stanca delle prigioni, del lavoro, del coraggio per reclamare il volto di un essere e il cuore meravigliato della tenerezza».
Ravasi conclude il suo pezzo citando il testo di una conversazione di Camus con i padri domenicani del convento parigino di Latour-Mauborg nel 1946:
“Il mondo di oggi chiede ai cristiani di rimanere cristiani. L’altro giorno alla Sorbona, rivolgendosi a un oratore marxista, un prete cattolico diceva in pubblico che anche lui era anticlericale. Bene: non amo i preti anticlericali, come non amo i filosofi che si vergognano di se stessi. Perciò non cercherò di farmi cristiano davanti a voi. Spartisco con voi lo stesso orrore del male. Ma non spartisco la vostra speranza, pur continuando a lottare contro questo universo in cui dei bambini soffrono e muoiono».
È proprio sulla scia di tali parole – scrive Ravasi – che si comprende un’altra confessione di Camus:
«Come essere santi senza Dio: è questo il solo problema concreto che io conosca».
Be’, Buona Pasqua a tutti
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