E’ chiaro che quando ci si trova di fronte a due grandi romanzi non è obbligatorio scegliere e neppure confrontarli, ma la scelta migliore rimane sempre quella di leggerli e magari diffonderli come facciamo noi.
Ma sapete com’è, dopo tutte quelle gare olimpiche mi è rimasto un po’ di spirito agonistico e quindi ho lanciato agli amici lettori questa quasi impossibile sfida tra il raffinato romanzo di Julian Barnes, Il senso di una fine (Einaudi) e il perfetto libro di John Williams, Stoner (Fazi editore), di cui si è già parlato ampiamente nel blog.
Cosa hanno in comune? Sono due notevoli opere letterarie, come purtroppo raramente capita di incontrare, e hanno riscosso un unanime consenso. Tenete conto che però Stoner è una riproposta, perché è un libro del 1965.
Per ora rimangono i libri migliori che ho letto quest’anno e quelli che ho consigliato a tutti. Se con una pistola alla tempia dovessi decidere tra i due, il libro di Barnes, che ho già riletto due volte, mi ha colpito maggiormente. Ma non parliamo del predomino di Bolt, ma piuttosto della vittoria all’ultimo punto di Calo Molfetta.
Stoner è l’emblema di come la letteratura riesca a rendere straordinaria ogni esistenza, anche quella che sembra apparentemente più banale e ordinaria e di come per fare un grande romanzo non sono necessari fuochi artificiali nel plot.
Il senso di una fine riesce in centocinquanta pagine a rappresentare il senso di molte vite, mettendo in gioco sentimenti insieme così universali e unici che non potrete non ritrovarvi. Soprattutto se cominciate ad avere un passato.
Adesso lascio la parola a chi li ha letti e la mia più sincera invidia per chi, beato, non l’ha ancora fatto.
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