
Ho finito Ogni mattina a Jenin, di Susan Abulhawa, ed. Feltrinelli, già un po’ di settimane fa, ma non sono ancora riuscita a scriverne. E’ un libro bellissimo, ma difficile. Non difficile da leggere, ma forte, per la storia che narra. Una saga familiare di una famiglia Palestinese, dal nonno Yehya alla nipotina Amal e poi a sua figlia Sara, quando Amal ormai è una donna adulta. Dal paesino palestinese di ‘Ain Hod, vicino a Haifa, al campo profughi di Jenin, dove la famiglia di Yehya e i loro compaesani sono costretti a rifugiarsi quando vengono cacciati con la forza dagli ebrei israeliani. E poi Gerusalemme, dove la piccola e promettente Amal andrà a studiare in un orfanotrofio, per realizzare il sogno del padre, a Philadelphia, negli USA, e in Libano, per finire, di nuovo, a Jenin, dove tutto è cominciato, e dove tutto finirà.
Una storia commovente e bellissima, un libro che consiglio vivamente.
Ho sempre trovato difficile non commuovermi alla vista di Gerusalemme, anche quando la odiavo – e Dio sa quanto l’ho odiata, per il suo immenso costo di vite umane. Ma la sua visione, da lontano o da dentro il labirinto delle mura, mi trasmette sempre un senso di dolcezza. Ogni centimetro di questa città racchiude i segreti di civiltà antiche, le cui morti e tradizioni sono impresse nelle sue viscere e nelle macerie che la circondano. I glorificati e i condannati hanno lasciato le loro impronte sulla sabbia. E’ stata conquistata, distrutta e ricostruita così tante volte che le pietre sembrano possedere una vita donata loro dagli eterni bilanci di preghiere e sangue. Eppure, in qualche modo, Gerusalemme trasmette umiltà. In me suscita un innato senso di familiarità – l’indubbia, irrefutabile sicurezza palestinese di appartenere a questa terra. Mi possiede, indipendentemente da chi la conquista, perché il suo suolo è custode delle mie radici, delle ossa dei miei antenati. Perché conosce i desideri segreti che hanno infiammato i letti delle mie progenitrici. Perché io sono il frutto naturale del suo passato ardente e burrascoso. Sono figlia di questa terra, e Gerusalemme mi rassicura di questo titolo inalienabile molto più degli atti di proprietà ingialliti, dei registri catastali ottomani, delle chiavi di ferro delle nostre case rubate, di tutte le risoluzioni o i decreti che potranno emanare l’Onu o le superpotenze.
*giuliaduepuntozero
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