
Dici reportage a fumetti, e pensi a Joe Sacco. E’ il primo suo libro che leggo, questo Palestina, pubblicato da Mondadori, e mi ha conquistata.
Joe Sacco ha passato 2 mesi, fra il 1991 e il 1992, viaggiando in Israele e in Palestina, vivendo fra la gente, abitando a casa loro, chiacchierando, bevendo del gran tè, patendo le stesse condizioni di vita precaria dei suoi ospiti, con l’unico scopo di raccogliere materiale di prima mano per descrivere all’Occidente quello che significa vivere nei Territori Occupati.
“Ha visto che vita facciamo?” gli chiede una donna in un’auto che viaggia come un taxi carica di persone. “E’ stato nei campi? Con l’acqua che piove dentro casa? Gli americani possono anche essere informati di questi problemi, ma stanno dalla parte di chi ha i soldi, e i palestinesi non ne hanno. Perché hanno reagito con tanta forza per il Kuwait? E anche se lei è uno di quel 10% o 1% di giornalisti che vogliono dire la verità sulla Palestina, non gliela pubblicheranno perché gli Ebrei sono i padroni dei giornali, possiedono tutto in America.”
Ci mette la faccia, Joe Sacco, in questo reportage autobiografico. Anche in senso letterale. Essendo un fumetto, lui per primo compare in molte pagine, con i suoi capelli a spazzola, gli occhialini tondi a specchio alla John Lennon, i labbroni carnosi. Prende posizione, non vuole nascondere nulla, neanche i lati peggiori del popolo che sta descrivendo. Riuscendo, ogni tanto, a strapparci un sorriso, e non solo una lacrima.
Strizzo gli occhi in continuazione, mentre scatto fotografie mentali e penso: “Da queste immagini potrei tirar fuori due splendide pagine per il mio fumetto”. C’è l’immagine vivida di un’auto di sbieco sotto una pioggia torrenziale, con Sameh che, al volante, si volta indietro per vedere qualcosa in quel buio fitto e cerca a tentoni il cambio, nella speranza di ritrovare la strada sommersa dall’acqua… e io sono al suo fianco, e questo è il mio momento di massima esaltazione… Ce l’ho fatta, capite, ho percorso migliaia di chilometri tra aerei, autobus e taxi, per arrivare proprio qui: a Jabalia, il campo profughi più incredibile della striscia di Gaza, l’epicentro dell’Intifada, una Disneyland di rifiuti e squallore… ed eccomi qui a scavare tra le esperienze dei palestinesi, io che sono solo un dannato disegnatore di fumetti che non si cambia d’abito da giorni, che ha calpestato topi morti e ha battuto i denti dal freddo, che ha detto quattro fesserie ai ragazzi annuendo comprensivo dinanzi ai loro racconti terrificanti… e mi aggrappo stretto ai sedili nel bel mezzo di un nero diluvio, sconvolto da tanta violenza… ma il finestrino è ben chiuso…
*giuliaduepuntozero
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