
Non avevo mai letto nulla di questo autore, nonostante da anni mio marito mi ripetesse che è uno dei suoi scrittori preferiti. Alla fine, un po’ per sfinimento, ho ascoltato il suo consiglio, e ho letto *L’anno dei dodici inverni*, ed. Einaudi.
Ammetto, merita. Il libro è scritto bene, la trama è avvincente, la storia è originale. Forse non è proprio il mio genere, ma ogni tanto bisogna un po’ variare.
Il romanzo si muove fra passato, presente e futuro della narrazione, ma man mano che le pagine scorrono, ci si accorge di come il tempo sia relativo, e i continui flash-back e flash-forward siano dovuti a una macchina del tempo, e al desiderio di un uomo che, dal 2028, decide che salvare una vita, anche solo una, è una fatica che vale la pena fare.
Un 2028 immaginario, ma molto suggestivo, in cui gli mp3 sono una tecnologia obsoleta _la musica si ascolta attraverso gli “impianti celebrali”_, i telefoni un oggetto vintage, e la civiltà è dominata dalla Chiesa della Divina Bomba, con sede in una Londra simile a un luna park fantascientifico, con finti bombardamenti, case distrutte, polvere e macerie.
Ma per amore il protagonista è disposto a tornare nel passato, dal 1982 in poi, una volta all’anno, per mettere in atto un piano che, pagina dopo pagina, si svela sotto i nostri occhi.
Un poeta arabo, tanto tempo fa, ha scritto che il cuore contiene ogni cosa.
Non so se è vero.
Ho imparato a non fidarmi dei poeti. Più sono bravi e più ti portano lontano dalla verità.
Ho conosciuto un solo poeta di cui potevi fidarti. Anche questo è stato molto tempo fa. O meglio, dovrei dire “fra molto tempo”.
Ma questa è una cosa che capirete solo alla fine, se avrete la pazienza di seguirmi in una storia che è insieme complicata e semplice.
Complicata come l’amore. Semplice come la vita.
Ma si potrebbe dire anche il contrario: semplice come l’amore, complicata come la vita.
*giuliaduepuntozero
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