
Il sottotitolo di questo libro, edito da Feltrinelli, è *La voce folk di Bruce Springsteen*, che è senza ombra di dubbio il mio cantante preferito, ed è quindi un libro che non potevo perdermi. Considerato, poi, che è stato scritto da Marina Petrillo, una delle voci che preferisco di Radio Popolare _dove per anni ha condotto Patchanka, ora si può ascoltarla ad Alaska_ si fa presto a capire come mai questo, al momento, sia il mio libro preferito del 2011.
In questo bellissimo ritratto Marina Petrillo analizza il lato meno conosciuto del Boss, quello folk, quello che lo avvicina alla tradizione musicale americana delle origini e alla cultura letteraria e cinematografica, in primis Steinbeck, ma anche Faulkner, Davis Grubb _autore del bellissimo *La morte corre sul fiume*, John Ford, e così via.
Molto colta, Marina Petrillo, il libro è ricco di riferimenti e citazioni, con una bellissima e utilissima bibliografia. E molto colto il Boss, che emerge in questo ritratto come un uomo vero, impegnato politicamente e soprattutto socialmente, che prende avvio dalla storia sua, della sua famiglia e della sua società, dipinto a tratti con così tanta partecipazione da diventare commovente.
Personalmente ho l’abitudine di mettere delle orecchie alle pagine che mi piacciono in un libro. Questo, ormai, è tutto piegato, ma riporterò solo una citazione:
Una volta Sprinsgteen ha detto che la sua voce era in parte anche quella di suo padre, che lui era come un bambino che si prova le scarpe da grande che trova nell’armadio. In tutta la sua ricerca non ha fatto che ripercorrere i passi che lo hanno preceduto. Ma la sua adozione degli strumenti del folk è laterale, sghemba, indipendente. La sua canzone sociale non nasce da un’adesione ideologica, ma è piuttosto la conseguenza di una disamina morale; sembra sgorgare, in effetti, dalla verifica lenta e profonda di quel vecchio motto dei sindacati americani: “Un torto inflitto a uno solo è un torto inflitto a tutti”. Questo collegamento meditato, fra il “sé” artistico e il “noi” popolare, è forse il contributo più alto che abbia dato al rock. E se la sua autoironia è una via di fuga sempre aperta dal perimetro di cartapesta dello show business, la sua fede nella musica è seria, magnetica, conturbante.
Anzi, due citazioni:
Una volta ha raccontato che ancora oggi, quando entra in una nuova stanza d’albergo, la prima cosa che fa è tirar fuori la chitarra e mettersi a suonare: “Per cinque, dieci minuti, e alla fine quel posto mi dà la sensazione di essere mio: la chitarra mi protegge“.
Sul sito della casa editrice, uno speciale sul libro, con video di alcune delle canzone citate nel libro, e un’intervista a Marina Petrillo.
*giuliaduepuntozero
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