In qualche indice di felicità si terrà certo conto del tempo che possiamo dedicare alla lettura libera e gratuita (vale a dire scelta e per se stessa, senza scopo di presunta “utilità”).
Però se ci chiediamo cosa ci renda felici quando leggiamo, ecco forse ci viene uno smarrimento.
Tolstoj e la famiglia infelice di Anna Karenina – decisamente più attraente di una famiglia felice – sono la nostra bussola: la lettura ci riempie di storie infelici, che sono spesso le più appassionanti.
Ci rende felice leggere del mondo, anche quando il mondo di cui leggiamo è infelice?
Vargas Llosa ha scritto che
La buona letteratura, mentre acquieta momentaneamente l’insoddisfazione umana, la incrementa e, facendo sviluppare una sensibilità non conformista rispetto alla vita, rende gli esseri umani più adatti all’infelicità. Vivere insoddisfatti, in lotta contro l’esistenza, significa ostinarsi, come Don Chisciotte, a combattere contro i mulini a vento, condannarsi, in un certo senso, a ingaggiare quelle battaglie che ingaggiava il colonnello Aureliano Buendía, di Cent’anni di solitudine, sapendo che le avrebbe perse tutte.
Per aggiungere però che
per questo spirito che si ribella alla vita così com’è, e cerca di materializzare il sogno, l’impossibile, con la dissennatezza di un Alonso Quijano, la cui pazzia, lo ricordiamo, nacque dalla lettura di romanzi di cavalleria, la letteratura è servita da formidabile combustibile.
Già, “combustibile“.
Ma cosa è che ci accende?
E’ quella sensazione di stare dentro le cose del mondo, vederle però con uno sguardo d’insieme che le connette e le racchiude tutte: queste appena lette, insieme con altre, le letture precedenti e quelle che verranno, ma anche, spesso, la vita stessa, ricordandoci così la giusta prospettiva nella quale collocare tutto?
Insomma, una sorta di “ironia d’autore” globale e continua e che si arricchisce a ogni libro che leggiamo?
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