
Di *Acciaio* (ed. Rizzoli) e della sua autrice Silvia Avallone si è sentito parlare tanto ultimamente: un po’ perché ha vinto il Premio Campiello Opera Prima, un po’ perché Bruno Vespa ha fatto commenti positivi… sulla sua scollatura. Insomma, in rete se ne scrive tanto, non sempre però dell’opera, quanto del contorno. Sul libro ho letto recensioni positive, e tante negative, o perlomeno tiepide.
La mia, invece, sarà una recensione davvero entusiasta. Mi è piaciuto talmente tanto, che l’ho finito da 3 giorni, e non sono ancora riuscita a iniziare un altro libro.
Anna e Francesca hanno 13 anni, abitano a Piombino, in via Stalingrado, entrambe alle spalle una vita difficile: il padre di Anna è un poco di buono, affascinante ma un mezzo delinquente, la madre Sandra tira avanti la famiglia, forte dei suoi ideali comunisti, il fratello maggiore Alessio lavora alla Lucchini, l’acciaieria, vera protagonista del romanzo; quello di Francesca è peggio ancora, un padre-padrone che picchia la figlia e la moglie, Rosa, che a 34 anni sembra già una vecchia, intontita dagli psicofarmaci.
Anna e Francesca sono ancora due bambine, ma nello stesso tempo sono già donne. Sono belle, tanto, e sanno di esserlo. I ragazzi le ammirano, gli uomini sbavano per loro, le compagne le invidiano e le considerano due stronze. Ma loro se ne fregano.
Anna e Francesca, soprattutto, sono amiche del cuore. Più che amiche, sorelle.
Non parlavano più, adesso. Le parole non servono a niente, fanno litigare il più delle volte. Si passavano la spugna con cura e si stupivano delle differenze: un neo, la forma stondata o oblunga delle unghie. Se ne stupivano come di una cosa che non ha senso.
Perché Anna aveva i fianchi più larghi e il seno più grosso? E perché Francesca aveva il sedere più tondo e più alto? E l’ombelico più profondo?
“Perché non siamo uguali?” chiese Francesca massaggiando i ricci di Anna.
“Perché siamo diverse, però siamo uguali.”
“E perché?”
“Perché siamo nate insieme, abitiamo insieme, moriremo insieme e faremo tutte le cose insieme.”
“E come facciamo a morire insieme?”
“Non lo so.”
Come *Ruggine americana* di cui ho parlato qualche giorno fa, anche qui l’acciaio la fa da protagonista. Nel primo, però, la crisi aveva fatto chiudere le fabbriche della provincia della Pennsylvania, causando disoccupazione e abbandono della città. I due protagonisti sono abbandonati a se stessi, non c’è una comunità. In *Acciaio* l’acciaieria Lucchini, sebbene abbia visto giorni migliori, è ancora in piedi, ed è il fulcro della vita dei personaggi e del romanzo. La narrazione è scandita dalle ore in fabbrica e da quelle in discoteca di Alessio e dei suoi amici Mattia e Cristiano; Francesca conta le ore in base ai turni del padre Enrico; Afo 4, l’altoforno, domina la città e il quartiere di casermoni costruiti per gli operai.
I protagonisti mi hanno fatto spesso venire il nervoso: gli adulti nella maggior parte sono personaggi negativi o comunque incapaci di risolvere la situazione, i ragazzi sono l’archetipo del tamarro, le ragazzine sono talmente sgamate che fanno quasi paura.
Era uno che se ne fregava altamente di Dio e dello Stato. Neppure una volta era andato alle urne a votare, e quando a cena gli capitava il telegiornale, con i morti, le guerre, le stragi, lui cambiava subito canale.
Mattia era fatto così, e non era per niente cattivo.
Però sono personaggi veri, proprio veri, che ti fanno innervosire, ti fanno incazzare, ma ti fanno anche piangere e alla fine commuovere. Trovo che sia questa la capacità della Avallone, di creare con tanta maestria un mondo che sembra proprio vero.
Anna e Francesca sembrano lontane e irraggiungibili, ma sono tanto umane, e la loro è una bellissima storia di amicizia. Un *Due di due* al femminile.
Come ho già scritto altre volte, se potessi ricomincerei a leggerlo dall’inizio. Ma ho promesso a mia mamma che gliel’avrei prestato…
*giuliaduepuntozero
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