
*Accabadora*, scritto da Michela Murgia e pubblicato da Einaudi, è un libro breve _166 pagine_, ma molto intenso, e soprattutto molto bello.
Sardegna, entroterra, anni Cinquanta, nell’immaginario paese di Soreni. Maria Listru, 6 anni, ultima di 4 figlie, orfana di padre, famiglia povera. Bonaria Urrai, Tzia Bonaria, zitella non più giovane, a cui la vita non ha donato né un marito _il fidanzato è morto in guerra_ né ovviamente una figlia. Così propone di prendere Maria come fill’e anima:
Fillus de anima.
E’ così che li chiamano i bambini generati due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità di un’altra. Di quel secondo parto era figlia Maria Listru, frutto tardivo dell’anima di Bonaria Urrai.
Tzia e Maria iniziano a girare sempre insieme, suscitando chiacchiere e occhiate in tutto il paese. Maria aiuta Tzia nel suo lavoro di sarta, va a scuola, e solo ogni tanto torna dalla famiglia originaria, separata ormai da una vita diversa. Tzia la considera una figlia, le insegna un mestiere, e soprattutto occhi diversi con cui guardare la vita.
Tzia Bonaria, però, non è solo una sarta; Maria intuisce che si nasconde qualcosa dietro alle improvvise scomparse della madre, alla chiamate notturne dei compaesani, al lutto portato da Tzia. Percepisce, ma non capisce, fino a quando il migliore amico, Andria, non glielo rivela: Tzia Bonaria è un’accabadora, “colei che finisce”, un po’ maga e un po’ medica, con le sue pozioni e i suoi rimedi per porre una fine dignitosa ai morituri.
Scene di dolore collettivo si succedono nel libro, con i loro rituali:
Per diverse ore intorno al corpo si susseguirono le voci delle donne e degli uomini, secondo una liturgia che alternava il pianto, la preghiera e la memoria in sequenza. Nessun passaggio poteva essere saltato, perché quel codice era indispensabile alla comunità per ricomporre la frattura fra le presenze e le assenze. Nell’atto di impedire la negazione del singolo dolore, anche il più controverso dei trapassi si riconciliava con la naturale tragicità delle cose di ogni vita.
Fino, appunto, al giorno in cui Maria scopre la verità che Bonaria ha sempre voluto nasconderle, e la frattura che si apre fra di loro è così grande da costringerla ad abbandonare la sua terra e la sua vita. Ma il legame materno fra loro, anche se Maria è fill’e anima e non figlia naturale, è troppo forte, e guiderà Maria al suo naturale destino.
Non dico di più per non rovinare la lettura, che consiglio calorosamente.
*giuliaduepuntozero
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