Andate a vederlo questo spettacolo di Giulio Casale, La Canzone di Nanda (se già non lo avete incrociato in una delle tappe precedenti: è stato per esempio a Milano l’autunno scorso e ci ritornerà nei prossimi giorni, sempre allo Strehler).
Non è tanto uno spettacolo dedicato a Fernanda Pivano, ma uno spettacolo (teatro-canzone) dettato dalla forza e dal valore che ha ispirato la vita di Nanda: il valore della “Pacifica Rivolta”. Casale nello scrivere aveva anche parlato con Pivano, era previsto che alla “prima” ci fosse anche lei in teatro. Insomma, “Non voleva essere e non è in alcun modo un omaggio postumo”.
Casale canta Bob Dylan mentre scorrono immagini dell’America che sorpresa e risvegliata conosceva l’anarchia pacifica dei beat e poi le rivolte culturali degli anni 60; racconta dei reading di Allen Ginsberg e Gregory Corso, il silenzio di Jack Kerouac, il delirio lucido di William Burroughs.
Ma ci parla anche di Fabrizio De André, che Nanda, “che non aveva mezze misure”, definiva “il più grande poeta italiano del Novecento”, di Woody Guthrie e Luigi Tenco e Jacques Brel. Casale, che ha un passato anche musicista rock, canta anche canzoni proprie, in uno stile che deve molto a quello di Giorgio Gaber, anche nello stare sul palco. Forse le sue canzoni sono i momenti meno alti dello spettacolo, non perché siano brutte, ma perché diventa inevitabile confrontarle con quelle degli altri maestri che interpreta.
Fra i tanti momenti intensi, forse quello letterariamente più alto dello spettacolo è la lettura-interpretazione di Howl di Allen Ginsberg: “Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate, isteriche, nude […]”.
Nel lavoro, ispirato ai Diari 1917 – 1973, (Bompiani) di Fernanda Pivano, c’è ovviamente anche Ernst Hemingway, ma anche il quasi dimenticato William Saroyan che narrava l’America “ingenua”.
Di Hemingway, in particolare, Casale ci parla del racconto “A Clean Well Lighted Place” (Un posto pulito, ben illuminato), un racconto che ha a che fare con il prendersi cura, prendersi cura degli altri e dei luoghi che gli altri frequentano. Come tutti i racconti di Hemingway contiene molto, moltissimo, quasi tutto. Quasi tutto quel che è inesprimibile se non con il racconto stesso, il racconto che spiega l’inspiegabile.
Pacifica rivolta. Essere altro dall’osceno mondano, semplicemente. Nella tenacia di chi rifiuta l’oggi perché sente l’infinito, dentro (Giulio Casale)
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