Sta per scadere il mandato di un anno a Gheddafi come presidente dell’ “Unione africana” (UA), che comprende 53 stati , ma, nonostante che il leader libico sia un convinto sostenitore degli Stati Uniti d’Africa che vorrebbe con una sola moneta, un solo esercito e un solo passaporto, emulando e superando il modello americano ed europeo, nessun passo avanti è stato fatto in questa direzione.
Se pure di panafricanismo si parli dall’inizio del 900, nel 2010 resta un obiettivo di lontana realizzazione; ma, se di fatto resta una bella utopia, questa unità esiste in concreto nelle pagine del romanzo Gli Stati Uniti d’Africa di Abdourahman A. Waberi, giovane poeta, narratore saggista, in lingua francese, originario di Gibuti, ultima colonia della Francia in terra africana, diventata indipendente nel 1977.
Waberi, che da molti anni vive in Francia, avreste potuto incontrarlo a festival letteratura di Mantova 2009 o ,come nel mio caso, a Ferrara al festival di Internazionale.
Non solo gli Stati Uniti d’Africa sono nel romanzo una realtà consolidata nel tempo- non si dice da quanto tempo- ma il mondo intorno è alla rovescia: non si parla infatti di un’ Africa in cui le parole chiave sono fame, malattie, violenza, guerre civili, ma di un continente dalle grandi metropoli con alti grattacieli, avanzatissimo sul piano finanziario, economico, culturale con importantissime università, “modello per l’intero pianeta.” E’ ad Asmara, capitale della federazione, che ha sede la Banca mondiale in un’Eritrea che “è riuscita a prosperare coniugando felicemente senso degli affari e virtù della democrazia parlamentare”. E’ qui che sono state costruite lunghissime autostrade come la 99 Gibuti-Dakar che interseca la 122 Tangeri-Città del Capo.
Fame malattie, guerre etniche sono invece prerogative del nord ,di quell’occidente o di quella parte dell’Est che domina il mondo.
E le boat pople non vanno dall’Africa all’Europa, ma in senso contrario:
zigzagano nel Mediterraneo centinaia di migliaia di euroasiatici, vittime di calamità e affamati…uomini e donne che si prostituiscono, provenienti dal Principato di Monaco o dal Vaticano, ma anche da altri luoghi ,approdano sulle spiagge di Djerba o nella baia blu cobalto di Algeri , poveri diavoli in cerca del pane, del latte, del riso e della farina, distribuite dalle organizzazioni di carità afgane, haitiane, laotiane o saheliane“. Ecco dunque nuovi migranti che
propagano la loro natalità galoppante, la loro sporcizia millenaria, la loro mancanza di ambizione, le loro religioni retrograde come protestantesimo, ebraismo, cattolicesimo, il loro maschilismo ancestrale, le loro malattie endemiche. In breve introducono il terzo mondo nell’ano degli Stati Uniti d’Africa
Sintesi di questi “miserabili euroasiatici” potrebbe essere quel Yacouba, “nato in una insalubre favela alla periferia di Zurigo, dove la mortalità infantile e il tasso di diffusione dell’AIDS resta tra i più elevati secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che, come tutti sanno ha sede… nella pacifica e tranquilla città di Banjul (capitale del Gambia)”.
Ecco dunque quel “pidocchioso falegname germanico o svizzero tedesco” in un centro di accoglienza per manodopera straniera nel ricco e dinamico stato eritreo, fuggito da quell’Elvetia, “teatro di guerre etniche e linguistiche, quel vestito da clown che ha nome Svizzera” Non solo la Svizzera, ma tutto il nord è sconvolto da guerre civili. E come non ricordare quei “milioni di affamati giapponesi tenuti in vita dalle eccedenze elementari provenienti dall’Africa centrale”. Ecco allora
l’uomo africano sicuro di sè, essere superiore ineguagliabile perchè separato dagli altri popoli e dalle altre razze da una distanza senza limiti […] gli altri, indigeni, barbari, primitivi, pagani, pagani, quasi sempre bianchi, sono degradati al rango di paria […] rassegnati al loro ruolo di servitorame e di bestie da soma
Se un tempo la terra era un solo continente, la Pangea e l’Africa si trovava a sud di un blocco unico chiamato Gondwana, quando si è smembrato in diversi continenti solo l’Africa sarebbe rimasta al centro del mondo. “ l’Africa era già al centro e vi è ancora”.
Il romanzo ha come personaggio principale Maya/Malaika, “una fanciulla bella e dolce” dalla pelle color latte”, figlia adottiva di “Papà Dottore”, il medico dei poveri che aveva vagato per l’Europa per fare campagne di di vaccinazione, per debellare la poliomelite” che fa ancora strage nella laguna paludosa di Venezia” .
Maya è una figura a metà strada tra Nord e Sud del mondo, lei, che nata in Normandia, si è poi trovata a vivere in un’Africa rassicurante, nel benessere del consumismo. E’ lei che, “cresciuta come l’erba in questo paese di cuccagna nella migliore delle famiglie”, ricca, istruita, alla morte della madre adottiva, decide di tornare in Francia, in una Parigi sottosviluppata, per ritrovare la madre biologica e le sue radici, ma per decidere poi di ritornare nella sua terra adottiva.
Nell’Africa qui rappresentata “i neurologi dell’istituto Franz Fanon di Blida hanno messo a punto persino una macchina per fabbricare i sogni che desiderate e consegnarveli durante il sonno”. Tuttavia questa Africa ricca, moderna, evoluta è anche già” sazia, pingue , rutta per la richezza e la noia”, è un mondo in cui si è scatenato ” un liberalismo selvaggio che ha sostituito i rapporti ancestrali di mutua assistenza con la carta di credito Fricafrick” Ed allora nei grandi agglomerati di “questa giungla urbana “il dramma della solitudine… di “quelli che si rintanano per mancanza di fede nell’umanità o cercano sollievo nell’alcol…”
C’è la” paura irrazionale dell’altro, dell’indesiderabile, del pericolo bianco” e anche qui vi sono le ronde, gli sceriffi e chi grida ” ributtiamo la feccia nel Mediterraneo” Come è diversa quest’Africa rispetto a quella che si può scoprire leggendo, per esempio, le pagine di Ebano di Ryszard Kapuscinski, che ha sempre considerato questo continente la sua seconda patria. Tra l’altro forse proprio per questo Waberi ha pensato di dedicare qualche riga ad un personaggio che si chiama Ryzard, che ,in questo caso, diventa “un furfantello originario della Polonia”, ma che “ha conservato la sua insopprimibile voglia di raccontare”
Questo romanzo, soprattutto per come l’ ho presentato io in questo tentativo di recensione, potrebbe sembrare un libro di fantascienza o di gratuita fantapolitica e far pensare a termini come Ucronia, o Utopia, o Distopia o ancora alla If storia per la sua capacità di ribaltamento, in realtà è soprattutto un libro fortemente provocatorio che, pur con una leggerezza che fa pensare a Calvino, ci fa vergognare dei nostri comportamenti da occidentali buonisti, moralisti pieni di ambigui stereotipi.
Nel romanzo c’è una voce narrante che , con un tono un po’ lirico e un po’ retorico, si rivolge direttamente e costantemente a Maya e, se pure il piglio satirico non viene mai meno, il taglio è quello di una favola, ma decisamente senza idillio.
“Gli Stati Uniti d’Africa” non è un grande libro, ma certamente un romanzo originale e una lettura piacevole, divertente che però fa pensare e riflettere.
Abdourahman A. Waberi, Gli Stati Uniti d’Africa, Univerale Economica Feltrinelli, 2009, pp 156
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