
Il fatto che Mario Balotelli sia insultato in tutti gli stadi d’Italia è indubbiamente una questione di razza e razzismo.
Eppure in molti (per esempio il “capitano” della nazionale, il Ct della stessa e alcuni giornalisti, una parte del mondo politico) negano questa evidenza. Pensando a tutto ciò mi è tornato in mente un famoso libro di Richard Wright (nella foto qui sotto), Ragazzo Negro (Einaudi), pubblicato nel 1945 (Black Boy, Harper and Brothers Publishers), nel 1948 in Italia. Un libro autobiografico, racconta, da dentro, in prima persona, l’esperienza di vita nel sud degli Stati Uniti (Mississippi), negli anni 30 e 40, di un ragazzo di colore (appunto).
Ovviamente le circostanze sono molto diverse. Le persone di colore negli Stati Uniti vivevano in una situazione di vera “apartheid” e il protagonista narratore era povero. Mario invece è ricco e famoso e una buona parte del paese in cui vive e del quale è cittadino non è razzista e non è ostile.
Però quel libro aveva il merito – tra gli altri – di rendere esplicito e dettagliato cosa significasse nel quotidiano l’espressione “questione razziale”.
Questione che in effetti tutti negli Stati Uniti avevano ben presente, se pure da punti di vista differenti.
Come ha ricordato anche Michele Serra sabato su La Repubblica, sembra invece che in Italia una parte del paese rifiuti di ammettere che esiste una questione razziale. Nega che una parte della società e della politica italiana sia pregiudizialmente e per motivi razziali radicalmente ostile (disposta all’occorrenza a usare la violenza) nei confronti di alcune categorie di stranieri, in particolare di quelli di pelle nera (o di etnia Roma o Sinti). Certo ci sono anche altri fili (per esempio economici, come si vede a Rosarno dove sono annodati tutti i fili possibili) che compongono il nodo, ma quello della razza è il problema centrale.
Nel caso di Mario Balotelli, lo scandalo per il razzista-tipo nostrano è accentuato dal fatto che Mario è italiano (l’altro nome di Mario è Barwuah) oltre che ricco e un po’ strafottente. Non a caso l’insulto preferito che gli arriva dalle curve degli stadi è proprio riferito all’impossibilità di essere contemporanemente “negro” e italiano.
Eppure, in troppi sembrano non vedere di cosa è fatto il nodo. Di cosa fosse fatto lo sapeva bene invece, da bianco nel sud degli Usa (anche lui Mississippi), William Faulkner: basta leggere i suoi impareggiabili romanzi e racconti: in ogni singola pagina il rapporto forte e terribile fra il nero e il bianco si dispiega davanti al lettore, con i confronti, le ambivalenze, i suoni delle parole, gli scoppi di violenza, anche gli affetti, a volte.
Ovviamente di narrativa sul confronto razziale ne esiste molta, molta ancora: per esempio quella sudafricana, con Nadine Gordimer (bianca), o, ancora negli Usa, Ralph Ellison (nero), con il suo Uomo Invisibile.
Il punto è come possa avvenire che dopo tante riflessioni creative, nel pieno di una trasformazione senza precedenti della demografia mondiale, ci sia una parte del paese, che passa per avveduta e responsabile, che non vuole guardare dritto negli occhi e chiamare per nome quel che succede.
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