
Non saprei proprio dire con quale coraggio un mattino di tanti anni fa telefonai a Fernanda Pivano.
Ero un’adolescente innamorata della letteratura americana, e avevo saputo che la Nanda avrebbe partecipato ad un incontro in una libreria Feltrinelli la sera stessa. Non potevo perdermela ma – non chiedetemi perché – avevo bisogno di una conferma, sapere che avrei davvero potuto scambiare qualche parola con lei.
Così mi sono procurata il suo numero di telefono e l’ho chiamata.
Uno dei tanti ricordi che Fernanda Pivano mi lascia è quella conversazione di mezz’ora, perché lei era fatta così: era capace di dedicare il suo tempo a una ragazzina che con voce tremante la ringraziava per aver tradotto e diffuso le migliori voci della sua generazione, e oltre.
La Pivano era esattamente ciò che scriveva: incontrava spesso e volentieri i lettori e concedeva tantissimo di se stessa e della sua esperienza, perché le piacevano le persone e la vita.
Qualcuno dice che scrivere, raccontare, è vivere due volte. Ma io credo che Fernanda abbia vissuto innumerevoli vite portando in giro per il mondo le storie dei suoi amici artisti.
Il suo libro preferito era Beat Hippie Yippie, una preziosissima raccolta degli articoli scritti negli anni.
Il libro che amava di più in assoluto, quello che lei definiva perfetto sotto ogni punto di vista, era Il grande Gatsby di Fitzgerald.
Nanda, grazie per tutte le cose belle che ci hai regalato: ora saremo noi a portare in giro le tue storie.

[Le fote sono rubacchiate, ma sono sicura che lei non se la prenderebbe]
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