Poichè mi sembra che agli utenti di questo blog interessi tutto ciò che riguarda la lettura, mi è parso significativo un recente articolo di Internazionale, di cui vi propongo una breve sintesi.
Calcutta non è solo povertà e miseria, ma è anche la città che ospita tre università e College Street è noto come centro intellettuale dell’India, in cui arti e scienze sono venerate. Intorno ci sono librerie, tipografie, case editrici e le rivendite sono chioschi di legno con un’insegna in cui compare il nome del proprietario,l’indirizzo, la specializzazione: bengalese, inglese, hindi, urdu, storia, religione, politica…
Importante la grande libreria Das Gupta, aperta tutti i giorni tranne la domenica dalle 9 del mattino alle 9 di sera. E’ gestita da 4 generazioni dalla stessa famiglia di librai.
Nel Bengala occidentale questa libreria è considerata una delle attività commerciali più prestigiose dello stato, basti pensare – dice il proprietario- che ogni volta che serve i rappresentati dei librai si incontrano a Delhi con i politici o addirittura con il presidente.
Si sta costruendo per ospitare la libreria un edificio a più piani con una superficie di 65000 mq.In questo quartiere le librerie sono già diecimila e sono destinate ad aumentare. 3000 case editrici e una fiera annuale del libro. A differenza degli altri mercati di Calcutta qui nessuno pubblicizza le merci urlando a squarciagola. Tra i libri a un gradino più basso i cd. chapbooks che costano poco.I loro acquirenti arrivano soprattutto dalla campagna, sono di qualunque argomento, in molti casi versioni semplificate di libri di preghiere e di classici della letteratura, ma anche manuali di ogni tipo anche di pornografia.
Un’attrattiva della College Street è la Coffee house, dove da decenni si discute di arte, letteratura e cinema. E proprio qui sarebbe iniziata la rivoluzione degli studenti bengalesi degli anni 60-70.
L’articolo si conclude definendo College street: un paradiso per tutti gli amanti dei libri, dove gli autori incontrano ogni giorno i loro editori. E dove i lettori sono anche scrittori e dove può capitare che un libraio venda i suoi volumi dopo averli letti.
da Dorothee Wenner, Die Zeit, Germania
da Internazionale, 19/25 giugno 2009, n.800, anno 16
A questo punto mi ero fermata, ma poi mi è venuto spontaneo pensare a noi , alla nostra Italia, dove da un po’ di tempo il Ministero dei beni culturali fa circolare attraverso TV e giornali slogan come Leggere è il cibo della mente, per incentivare la lettura degli italiani. E questo ben venga – ma perchè poi – come leggo nel Sole24ore di domenica 26 luglio 2009 nell’articolo intitolato Povere biblioteche d’I-taglia si parla diffusamente dei tagli previsti per il funzionamento delle biblioteche e non per es. delle auto blu dei nostri politici? Per es.fondi 2009 per il funzionamento della Biblioteca Nazionale di Firenze: 0,00; fondi per la Biblioteca Nazionale di Roma il 49,70% rispetto al 2001 ecc.ecc.
Un’altra incredibile notizia sul valore della lettura in Turchia dal Corriere della sera di ieri 27 luglio 2009:
Nonostante il sistema giudiziario turco continui a mostrare gravi limiti (non sono pochi i casi di intellettuali arrestati per reati d’opinione e spesso le violenze sulle donne non sono perseguite), da qualche anno pene più morbide e originali sotto inflitte a chi si macchia di reati considerati meno gravi. Invece di passare inutili giornate in galera i giudici offrono ai condannati la possibilità di sostituire il carcere con lunghe sedute in biblioteca durante le quali i colpevoli devono leggere e riflettere sui propri errori“…
“Il primo caso di pena alternativa fu comminato nel 2006 a Alparslan Yigit , cittadino turco di Yozgat, accusato di ubriachezza molesta. L’uomo fu condannato a leggere ogni giorno per un’ora e mezza un libro in biblioteca sotto la sorveglianza della polizia. All’inizio Yigit, che preferiva il carcere alla lettura in biblioteca perché temeva di essere preso in giro dai conoscenti, faceva finta di leggere. Più tardi seppe che il giudice lo avrebbe interrogato sulla trama del libro e allora cominciò il “duro lavoro”: «Ho impiegato più di un mese per leggere quel grande libro» ricorda Yigit. «Il giudice mi disse che se avessi scelto la prigione piuttosto che la lettura, la mia fedina penale sarebbe stata macchiata inesorabilmente e non avrei più trovato lavoro. All’inizio è stato peggio di una tortura. Poi ho capito che leggere non è così tremendo. Adesso lo faccio ogni volta che ne ho l’occasione».
L’articolo continua con altri esempi, citando tra i libri da leggere assegnati per punizione: per es. a un marito che, ubriaco, ha picchiato la moglie, è stato assegnata Guerra e pace.
Io sono senza parole… voi che ne pensate?
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