Lascia il segno lo show (inteso nella migliore accezione della parola) di Roberto Saviano mercoledì sera in tv su Rai 3.
Colpisce il modo in cui Saviano racconta, anche davanti alla telecamera, non solo sulle pagine. Tempi accurati, quasi mai in eccesso, pause studiate, sguardi diretti, emozione evidente ma trattenuta, sempre sotto controllo.
Uno show, appunto.
Uno show per la letteratura e per la verità, per riallineare le parole e le cose.
La letteratura, così diversa dalla cronaca: la cronaca delle gazzette locali, la cronaca che raccoglie le voci, le genera, diffama i coraggiosi.
Saviano ha spettacolarizzato la sua concezione di letteratura – così dichiaratamente e programmaticamente diversa dal “giornalismo”, pur occupandosi di cose di cui si occupa anche il giornalismo.
Ha portato in classifica un libro terribile come Gomorra, ci mostra la rete che opprime il meridione e ci dice (ci fa vedere, con gli occhi, con le sensazioni) che riguarda tutti noi; ci dice che molta dell’economia di questo paese vive di quel denaro sporco di sangue, denaro che vuole ripulirsi circolando. E ci dice, ci fa sentire dentro, che non possiamo dimenticare tutto questo, non dovremmo fare finta di niente.
Saviano scrittore è veramente un fenomeno dirompente perché usa se stesso, il suo corpo prigioniero, la sua vita blindata di ragazzo in uno show continuo per una causa giusta e forte, che è già tutta nel suo libro.
Le immagini di Saviano accanto a Paul Auster e David Grossman ci ricordano che le parole scritte della letteratura sono lo strumento più forte di questa lotta e che lo show serve per portare tutti dentro quelle parole, quelle pagine. E come dice lui a chi lo accusa di protagonismo, viene da chiedersi: che male c’è a rendere spettacolari le parole, a fare moda attorno alla sua ossessione-giusta, attorno alla letteratura come strumento di civiltà?
Rispondi