C’è parecchio interesse attorno a Vita e destino di Vasilij Grossman ormai giunto in tre mesi alla quarta edizione Adelphi (prima era Jaca Book). Interesse tutto meritato.
Il libro, oltre alla forza e al valore dei temi, è di una forza artistica formidabile: un vero pugno nello stomaco, la dimensione estetica che fa di un libro un romanzo di grande respiro, indimenticabile.
La scrittura di Grossman trascina nel lager e nei bunker di Stalingrado, si annusa l’odore del petrolio che brucia quando esce dai serbatoi nella battaglia, senti lo sferragliare dei treni che trasportano i deportati nei campi.
Il pugno colpisce subito, nelle prime pagine. Un pugno forte che tiene svegli. Un pugno che ti fa sentire addosso l’immane catastrofe che ha tagliato in due il Novecento. Sensazioni simili a quelle che trasmettono le scene di battaglia di Guerra e Pace.
Sulla prima pagina del romanzo, al secondo paragrafo, si legge
Non aveva piovuto, ma all’alba il terreno era umido e, quando si accendeva il semaforo, sull’asfalto bagnato si spandeva un alone rossastro. Il respiro del lager si percepiva a chilometri di distanza – lì convergevano i fili della luce, sempre più fitti, la strada e la ferrovia. Era uno spazio riempito di linee rette, uno spazio di rettangoli e parallelogrammi che fendevano la terra, il cielo d’autunno, la nebbia.
Sirene lontane – un ululato lungo e sommesso.
Ecco, questo appunto di lettura, a lettura in corso, soprattutto per ricordare che questo è un libro bellissimo oltre che terribile. Come del resto tanti commenti su questo blog hanno già sottolineato. Spero di avere la forza di tornare ad annotare qualche altra impressione di lettura.
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