Poche ore per leggere con interesse ed anche con una certa emozione l’ultimo libro di Enzo Bianchi, IL PANE DI IERI, …anche per chi, come me, ama definirsi laica. In questo oggi in cui tutto si consuma rapidamente, in questo oggi globalizzato dei computer e dei cellulari, il priore della comunità di Bose ci fa tornare indietro in un mondo che sarebbe bello recuperare, appunto il tempo in cui “il pane di ieri è buono domani”, come dice il proverbio.
Un tuffo nella società contadina di ogni tempo e di ogni luogo, ma in particolare in quella terra del dopoguerra tra il Monferrato e le Langhe, dove Enzo Bianchi è nato e dove ha trascorso in povertà la prima parte della sua vita.
Rivisitare il mio passato nell’ottica di cogliere in esso delle chiavi di lettura per il presente e per il futuro.
Un breve saggio, che qualcuno ha definito teologico e poetico, in cui non si dice nulla di straordinario, anzi potrebbe sembrare banale e retorico, se non ci si accosta con lo spirito giusto, con quella semplicità che ti fa apprezzare l’amore per la terra, le riflessioni sulla vita, sull’amicizia, sulla morte e la vecchiaia e dove dal particolare e dal personale si passa all’universale.
Si entra così in contatto con un mondo contadino senza mitizzazione, senza idillio, dove la vita era dura, austera, moralmente intransigente, un mondo in cui un evento atmosferico come una grandinata poteva distruggere il lavoro di un anno, un mondo in cui il canto del gallo o le campane scandivano il passare fugace del tempo
In quel passato ” avere cura del mangiare è come dire ti voglio bene“, mangiare insieme è incontrarsi, la tavola è luogo di festa, di condivisione di gioie e sofferenze.
Bianchi ricorda che sua madre
deponeva sul tavolo ogni mattina una grissia del pane di ieri, un fiasco di vino, un orciolo di olio e una saliera, tutto ricoperto con un tovagliolo da lei ricamato con la scritta” l’0lio, il pane, il vino e il sale siano lezione e consolazione
Ed è il pane che diventa “simbolo di natura e cultura” dell’agire dell’uomo in armonia con la natura: il pane fa vivere, il vino invece dà gusto alla vita, rallegra il cuore, addolcisce le fatiche.
L’anno è scandito dalle cure della vigna ” curare la vigna è come amare la propria vita”
la stagione della vendemmia non è solo il coronamento di un’ annata di lavoro, ma il simbolo dell’ intimo rapporto tra l’uomo e la terra.
E poi dopo la vendemmia come si preparano la moutarde, cioè la senape o la grappa. Felicissimo in particolare il momento in cui si descrive il RITO DELLA BONA CAUDA , piatto tipico della tradizione contadina che i giovani, con amicizia rinnovata, si ritrovavano a mangiare insieme:” oserei dire un’opera d’arte con l’acciugaio che arriva dalla Liguria in bicicletta con ” u pan du mar”, con il pesce dei poveri e poi l’aglio del Monferrato e l’olio ancora della Liguria.E questo cibo è dunque “uno scambio di terre, di genti, di culture…con alimenti poveri..ma ricchi di umanità”
Con IL PANE DI IERI si torna agli autunni del passato in cui si sfogliava il granoturco, o si vegliava nelle stalle scaldati dal tepore degli animali e si ” contavano storie sempre molto colorite” che facevano crescere più della TV di oggi. I GRANDI MAESTRI per il Priore di Bose erano girovaghi, mendicanti, monaci, solitari, anonimi ” capaci di parole acute come frecce che, senza ferire, colpivano il cuore”
Ed anche in quel passato arrivava l’ura d’andé, dopo aver fatigà a star al mund dopo aver sperimentato la vita grama della vecchiaia, rattristata dalla solitudine, l’ora di riconciliarsi con la finitudine della vita.
Si paragona l’età alle stagioni dell’ anno, e allora la vecchiaia .è l’autunno, del quale si scorgono però solo le foglie che cadono, non il ribollire dei tini colmi di vino; si pensa alle ore del giorno e allora è il crepuscolo, ma se ne coglie solo la malinconia, non il pacifico ricomporsi del creato alle soglie della notte.
Poche pagine…per fermarsi un attimo e riflettere… in silenzio…sui nostri piccoli gesti quotidiani !
ENZO BIANCHI, IL PANE DI IERI, EINAUDI, 2008, pp. 114
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