Se qualcuno ha voglia di dare uno sguardo all’India di oggi un po’ al di fuori dei soliti schemi, soprattutto al di là di certa cinematografia bollywoodiana, può leggere un saggio di RAMPINI come L’IMPERO DI CINDIA, o uno ancora più recente come LA SPERANZA INDIANA, se invece vuole una lettura attraverso la narrativa, interessante può essere il romanzo LA TIGRE BIANCA di ARAVIND ADIGA, opera prima del vincitore del PREMIO PULITZER 2008.
Rampini, giornalista di Repubblica, è senz’altro un esperto conoscitore della nuova India, oltre che della nuova Cina, realtà già in cammino per diventare superpotenze, che fra 30 anni produrranno il 42% del PIL mondiale, mentre gli Usa solo il 23% e l’Europa il 16%
La NEW INDIA,al centro delle innovazioni mondiali, con BANGALORE sarà la nuova SILICON VALLEY industriale, prima produttrice di hardware e microcips.
Se PASOLINI nel 1961 in L’ODORE DELL’INDIA parlava di un’India senza speranza e di un inferno senza futuro, Rampini non a caso titola il suo ultimo saggio, pubblicato nel 2007, LA SPERANZA INDIANA, in cui ci racconta quanto sia cambiata la sorte della più grande democrazia del mondo, che, oggi con una popolazione di un miliardo e cento, dal 1980 è stata capace di sconfiggere la miseria per 200 milioni di persone.
In questo saggio, attraverso un’analisi storica, sociale, economica ci fa conoscere un’India di cultura antichissima, ma anche i sorprendenti livelli dell’ odierno sviluppo scientifico e tecnologico, che tuttavia si intrecciano con una serie di contraddizioni dell’oggi, in cui perdurano caste, analfabetismo, corruzione e si aggravano fattori come l’inquinamento.
Interessante è affiancare la lettura di questi saggi con il romanzo di ARAVIND ADIGA, perchè è un punto di vista dal di dentro di un giovane indiano, che con rabbia e truce umorismo ci conduce dietro le quinte dell’india odierna
Se in CINDIA Rampini conia un nuovo termine, per indicare quella parte in cui si giocherà il futuro del mondo, anche Adiga unisce in un unico discorso Cina e India, perché il suo romanzo, che ha la forma di un romanzo epistolare, ha come mittente delle lettere un indiano, che, nato poverissimo, diventa un uomo di successo nella Bangalore della new economy, mentre il destinatario è un primo ministro cinese con cui si confronta e a cui racconta in prima persona la propria vita. E questa autografia diventa anche ritratto dell’India di oggi, anzi delle due Indie: un’ India di tenebre e un India di luce, un’India carente di acqua potabile, di elettricità, di fognature, di trasporti pubblici, di senso della disciplina, di cortesia o puntualità, che però ha imprenditori come BALRAM HALWAI, alias TIGRE BIANCA, che hanno messo in piedi società di OUTSOURCING che fanno andare avanti l’America.
Sono andata a cercare il significato di questo termine a me sconosciuto, ma poi nel romanzo spiegato chiaramente e semplicemente con queste parole: “fare in India delle cose al telefono per gli americani: tutto veniva di là: EDILIZIA-RICCHEZZA-POTERE-SUCCESSO”.
E’ quindi la dolorosa storia della corruzione di Balram, da dolce e innocente idiota di campagna a dissoluto, depravato, malvagio uomo di città che viene da Laxmangart, “un tipico paradiso rurale” indiano senza corrente, senza acqua potabile “con bambini troppo bassi e magri con le teste sproporzionate, dove nessuno conosce con esattezza la propria età.
Figlio di un conduttore di risciò “bestia da soma umana”, ma con un progetto…che almeno un figlio potesse vivere COME UN UOMO. Un’India in cui la maggior parte degli uomini sono RAGNI UMANI, logore creature , indolenti in logore uniformi… questo il destino che spetta a chi fa bene il proprio lavoro con onestà, sincerità, dedizione, “come senza dubbio avrebbe fatto Gandhi”.
Il tono ironico e sarcastico che accompagna il romanzo non lascia spazi né all’esaltazione di GANDHI, né del GANGE, fiume ricordato, più che per la sua sacralità, come fiume di morte, nero, denso, appiccicoso per la presenza di feci, paglia, membra umane decomposte, carcasse di bufali..sette diverse qualità di acidi industriali.
L’ironia non risparmia neppure l’India come grande DEMOCRAZIA confrontata con la dittatura della Cina del suo interlocutore: un miliardo di persone che votano per decidere del proprio futuro, esercitando in piena libertà i propri diritti, mentre gli uomini gialli con tante medaglie d’oro alle olimpiadi sono senza democrazia
Ma la democrazia è quella dei villaggi, in cui non ci sono ospedali, ma tre prime pietre, poste da tre diversi politici prima di tre diverse elezioni, o quella dei ministri invischiati in 93 procedimenti penali, o quella di DELHI, orgoglio della pianificazione urbana, città folle, in cui migliaia di persone, poveri bastardi, bassi, magri, sporchi, vivono per strada o come animali sotto enormi ponti e sopraelevate, o dove le case dei servi, nei grandi palazzi sono spesso sottoterra: è lì che domestici, autisti, cuochi, cameriere possono dormire, riposare, aspettare.
Delhi, la capitale della gloriosa nazione, un perenne cantiere edile che in 5 anni diventerà come Dubai, dove i quartieri ricchi si riconoscono anche per la quantità di spazzatura abbandonata fuori delle mura di casa, , dove negli slum lunghe file di uomini defecano all’aperto.
L’India delle metropoli, come BANGALORE, con i grandi palazzi di vetro, dove”uomini e donne come animali nelle foreste dormono di giorno, lavorano di notte fino alle due,tre, quattro cinque della notte, a seconda dell’orario dei loro padroni in America” Questo è appunto l’ outsourcing!!!
F.RAMPINI, L’IMPERO DI CINDIA, Mondadori 2006, pp. 369
F.RAMPINI, LA SPERANZA INDIANA Mondadori 2007 pp. 245
ARAVIND ADIGA, LA TIGRE BIANCA, Einaudi, 2008, pp. 232
Rispondi