Ha ragione Luiginter La pioggia gialla di J. Llamazares è un libro “bello e terribile” che provoca sofferenza, ma che non puoi non leggere per la bellezza della scrittura, che ti emoziona e ti fa pensare. Io, grazie anche alla brevità, affascinata dalla scrittura e coinvolta emotivamente, ho sentito il bisogno di rileggerlo anche una seconda volta.
E nel rileggerlo il mio pensiero andava continuamente ad un altro romanzo breve, per lo più poco conosciuto anche se giudicato “perfetto” da un autorevole Montale e apprezzato da Bertolucci, Pasolini e altri al punto di essere giudicato uno dei più bei racconti del 900 italiano e non solo: Casa d’altri di Silvio D’Arzo, uno scrittore reggiano morto nel 1952 a trentadue anni di leucemia. E così ho riletto con altrettanta emozione anche Casa d’altri, che, pur nella diversità, ha in comune con La pioggia gialla parole chiave come solitudine, silenzio, morte. E poi lo stesso tipo di scrittura lirica, musicale, agile, immediata, scarna, essenziale.
Ed anche l’atmosfera di una terra di montagna, anche se i Pirenei non sono l’Appennino e anche se Montelice non è un paese del tutto abbandonato come Ainielle:
Sette case addossate… due strade, un cortile che chiamano piazza, uno stagno e un canale e montagna quanta ne vuoi. Che fanno qui a Montelice? vivono e basta e poi muoiono… qui non succede niente di niente…gli uomini al pascolo… le donne a far legna… in strada una vecchia o una capra o nemmeno quello… l’inverno dura mezzo anno. due mesi continui di pioggia, due tre mesi di neve-neve. non succede niente di niente solo che nevica e piove e la gente nelle stalle a guardare la pioggia e la neve come i muli e le capre.
C’ è un tempo della narrazione che è tre-quattro anni dopo la seconda guerra mondiale e c’è uno spazio al di là di quelle sette case, i cui colori si ripetono come un ritornello..un po’ come la pioggia gialla:
L’aria fuori viola e viola i sentieri e l’erbe dei pascoli e i calanchi e le creste dei monti… c’è quassù una certa ora. I calanchi si fanno color ruggine vecchia e poi viola, e poi blu… le capre si affacciano agli usci con degli occhi che sembrano i nostri. E non c’è sole né luna nel cielo
E invece dell’assoluta solitudine di Andrés c’è la solitudine di Zelinda con la sua spietata, bestiale vita di stenti, non diversa da quella della capra che le sta sempre accanto giù al canale, dove in ogni stagione lava stracci e budella, ogni giorno fino a sera.
La storia è fatta di niente, eppure potrebbe essere “un giallo esistenziale”, “un giallo dell’anima”, perché c’è un mistero da svelare nel rapporto che si stabilisce tra la donna e il vecchio parroco del paese, ridotto ad essere “un prete da sagre e nient’altro”.
Zelinda in questa tragica vita di stenti cerca una via d’uscita dal mondo, vuole l’autorizzazione a morire come un gesto di carità “se senza far dispetto a nessuno potesse avere il permesso di finire un po’ prima… anche uccidersi” . La tragedia del vivere, la consapevolezza dell’impossibilità del vivere e la fede, il sentimento religioso: uccidersi e non trasgredire.
Una vecchia con una terribile domanda e un prete con il suo silenzio “da provare vergogna per tutte le parole del mondo”.
La vecchia alla fine muore e non si sa come e anche per il vecchio prete è ormai ora di preparare le valigie “e senza chiasso partir verso casa.Credo di avere anche il biglietto”: la vita come esilio, in senso laico, il non senso del vivere, l’irreparabile alienazione, scoprire che non solo Zelinda vive in casa d’altri.
In un dattiloscritto del racconto, di cui esistono diverse redazioni, D’Arzo ha aggiunto a penna:“il mondo non è casa tua; a te sembra di starci a dozzina” e in emiliano significa “starci in prestito”.
Anche D’Arzo, figlio illegittimo in tempi in cui era vergognoso esserlo, è un esule senza nome, ma con tanti pseudonimi (il suo vero nome era Ezio Comparoni) in casa d’altri, senza una sua terra.
Forse la sua patria è quella letteratura angloamericana, di cui era raffinato ed esperto conoscitore, come dimostrano i suoi saggi.
Amava Stevenson, James, Conrad, Kipling, Hemingway e in loro cercava il senso del vivere.
Casa d’altri sono solo cinquanta pagine che vale la pena di leggere, di condividere e, se volete, su cui confrontarci!
Silvio D’Arzo, Casa d’altri e altri racconti, Einaudi 2007.
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