Una poesia di Gioconda Belli per dire qualcosa l’8 marzo

Sempre questa sensazione di inquietudine

di attesa d’altro.

Oggi sono le farfalle e domani sarà la

tristezza inspiegabile, la noia o l’ansia sfrenata

di rassettare questa o quella stanza,

di cucire, andare qua e là a fare commissioni,

e intanto cerco di tappare l’Universo con un dito

creare la mia felicità con

ingredienti da ricetta di cucina,

succhiandomi le dita di tanto in tanto,

di tanto in tanto sentendo che mai potrò essere sazia,

che sono un barile senza fondo,

sapendo che”non mi adeguerò mai”,

ma cercando assurdamente di adeguarmi

mentre il mio corpo e la mia mente si aprono,

si dilatano come pori infiniti

in cui si annida una donna che avrebbe

voluto essere

uccello, mare stella

ventre profondo che dà alla luce Universi

splendenti stelle nove…

e continuo a far scoppiare Palomitas nel cervello,

bianchi bioccoli di cotone,

raffiche di poesie che mi colpiscono

tutto il giorno e

mi fanno desiderare di gonfiarmi come un

pallone per contenere

il mondo, la natura, per assorbire tutto e stare

ovunque, vivendo mille e una vita differente…

ma devo ricordarmi che sono qui e che

continuerò

ad anelare, ad afferrare frammenti di chiarore,

a cucirmi un vestito di sole,

di luna, il vestito verde color del tempo

con il quale ho sognato di vivere

un giorno su Venere.

Che ve ne pare ? Come augurio a tutte le donne del blog, ma anche per tutti gli uomini che abbiano la sensibilità per apprezzare per questa poesia.

Sarà il mio nickname a condizionarmi ma senza volere sono ricaduta nelle braccia di Gioconda Belli!

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5 risposte a “Una poesia di Gioconda Belli per dire qualcosa l’8 marzo”

  1. mentre il mio corpo e la mia mente si aprono,

    si dilatano come pori infiniti

    in cui si annida una donna che avrebbe

    voluto essere

    uccello, mare stella

    ventre profondo che dà alla luce Universi

    Lo sei già, se scrivi cose come queste…

    Buon 8 Marzo

    Apo

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  2. Salve, da quale testo è tratta la poesia?

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  3. mi scuso con Rosa Maria per non aver visto la sua rchiesta:
    la poesia potrebbe essere presa, ma non sono certa da OCCHIO DI DONNA, pubblicato da e/o e ora fuori catalogo.
    Io non sono riuscita a trovare questa raccolta in nessuna delle ricche biblioteche della mia città

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  4. Il mio è un buon rapporto qualità-prezzo.
    Come i predicatori, vendo visioni,
    come la pubblicità del profumo, desiderio
    o il suo facsimile. Come nelle barzellette
    o in guerra, è tutta questione di tempismo.
    Rivendo agli uomini i loro peggiori sospetti:
    che tutto abbia un prezzo,
    un pezzo per volta. Mi guardano e vedono
    un massacro con la motosega appena prima che avvenga,
    quando coscia, culo, macchia, fessura, tetta, e capezzolo
    sono ancora uniti insieme.
    Quanto odio gli batte dentro,
    i miei adoratori gonfi di birra! Odio, o un ebbro
    disperato amore. Vedendo la fila di teste
    e occhi rovesciati, imploranti
    ma pronti ad azzannarmi le caviglie,
    capisco i diluvi e i terremoti, e l’impulso di pestare
    le formiche. Mi muovo a ritmo,
    e danzo per loro, perché
    non lo sanno fare. La musica ha un odore volpino,
    crepita come metallo riscaldato
    e brucia le narici
    o afosa come l’agosto, caliginoso e languido
    come una città il giorno dopo il saccheggio,
    quando lo stupro è fatto,
    e la carneficina,
    e i sopravvissuti vanno in giro
    a cercare cibo
    fra i rifiuti, e c’è solo un cupo sfinimento.

    A proposito, è il sorriso
    che mi estenua di più.
    Il sorriso, e il far finta
    di non sentirli.
    Non li sento, infatti, perché dopo tutto
    sono straniera per loro.
    La loro parlata è ispida e gutturale,
    ovvia come una fetta di spalla cotta,
    ma io vengo dalla provincia degli dèi
    dove i significati sono lirici e obliqui.
    Io non mi svelo a tutti,
    se ti avvicini all’orecchio te lo sussurro:
    Mia madre fu stuprata da un sacro cigno.
    Ci credi? Mi puoi portare fuori a cena.
    È quello che diciamo a tutti i mariti.
    Davvero, ci son tanti uccelli pericolosi in giro.

    Certo che qua dentro solo tu
    mi puoi capire.
    Gli altri vorrebbero guardare
    senza sentire nulla. Ridurmi alle componenti
    come in una fabbrica di orologi o un mattatoio.
    Spremere fuori il mistero.
    Murarmi viva
    nel mio stesso corpo.
    Vorrebbero leggermi dentro,
    ma non c’è niente di più opaco
    della trasparenza totale.
    Guarda – i miei piedi nemmeno toccano il marmo!
    Come fiato o aerostato, mi sollevo,
    lèvito a quindici centimetri da terra
    nella mia luce di fiammeggiante uovo di cigno.
    Pensi che non sia una dea?
    Mettimi alla prova.
    È una canzone torcia la mia.
    Se mi tocchi bruci.

    Elena di Troia balla sul bancone dalla raccolta “Mattino nella casa bruciata” di Margaret Atwood
    Trad. G. Sensi-A.Sirotti

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  5. che incapace : avevo tralasciato la prima strofa…

    Il mondo è pieno di donne
    pronte a dirmi che dovrei vergognarmi
    se solo potessero: Smetti di ballare.
    Ritrova il tuo contegno
    e un lavoro normale.
    Certo. E il minimo sindacale,
    e le vene varicose a stare in piedi per otto ore
    dietro al solito bancone di vetro
    imbacuccata fino al collo, anziché
    nuda come un hamburger.
    A vendere guanti, o cose del genere
    invece di quel che vendo io.
    Ci vuole talento
    a spacciare qualcosa di così nebuloso
    e senza forma materiale.
    Sfruttata, direbbero. Certo, senza ombra
    di dubbio, ma perlomeno posso scegliere
    il modo, e poi mi prendo i soldi.

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