Umberto Eco, due piccoli colpi di genio nel vuoto surreale di un’intervista

L’intervista di Deborah Solomon a Umberto Eco pubblicata ieri da Repubblica (in verità l’intervista è del New York Times e Repubblica l’ha tradotta) che a prima vista mi è sembrata inutile (continuo a ritenere che sia inutile in buona parte), racchiude in verità due leggeri colpi di genio (oltre a una generale atmosfera surreale): –…

L’intervista di Deborah Solomon a Umberto Eco pubblicata ieri da Repubblica (in verità l’intervista è del New York Times e Repubblica l’ha tradotta) che a prima vista mi è sembrata inutile (continuo a ritenere che sia inutile in buona parte), racchiude in verità due leggeri colpi di genio (oltre a una generale atmosfera surreale):

– il primo: Eco si fa trascinare a dire cose che sanno più o meno tutti: dice che l’Italia è stata nel 900 un laboratorio per il resto del mondo, per il futurismo e per il fascismo (più o meno è scritto in tutti i libri di storia) e ora potrebbe esserlo per il populismo mediatico berlusconiano (anche questo, insomma non è proprio la prima volta che lo sentiamo): e allora il colpo di genio? Eccolo: l’intervistatrice obietta:
“Intende dire che l’idea della Germania nazista nasce dal fascismo italiano?”
Eco: “Senza dubbio. Così dicono gli storici.”
Solomon: “Ma forse solo quelli italiani”
Eco: “Se non le sta bene, non lo scriva; per me è indifferente.”
Non chiedetemi perché geniale: non lo so esattamente, eppure ci trovo qualcosa di liberatorio. Per esempio dall’idea che sempre sia necessario per chi intervista scrivere quel che dice l’intervistato, anche se non la si condivide: quante mocciate (Vincenzo Federico Moccia) o moggiate (Luciano Moggi) ci saremmo risparmiati! Oppure dalla finta complicità fra intervistato e intervistatore: sempre amiconi, sempre disponibili a capirsi, sempre contento e consapevole, l’intervistato, dell’omaggio di spazio e tempo che gli viene riservato. O, ancora, liberati dall’idea che le interviste alle persone interessanti siano comuque interessanti.
L’altro leggerisismo colpo di genio: a Deborah che gli chiede di Dan Brown e Il Codice da Vinci, dicendo che qualche critico vi ha visto una versione pop de Il Nome della rosa, Eco risponde: “Dan Brown è uno dei personaggi del mio romanzo, Il pendolo di Foucault, in cui si parla di gente che incomincia a credere nel ciarpame occultista”.
Insomma, Eco avrà sentito decine di volte le domande sul Codice da Vinci e ora è arrivato alla risposta perfetta: Dan Brown l’ho creato io, poi è diventato uno scrittore. 🙂

Commenti

2 risposte a “Umberto Eco, due piccoli colpi di genio nel vuoto surreale di un’intervista”

  1. Avatar theleeshore
    theleeshore

    Esatto: fine della complicità (spesso viscida) che ricopre le interviste che siamo abituati a leggere. Eco se ne frega di quello che scrive la giornalista (e fa bene, visto che lei dovrebbe magari riprendere in mano qualche libro di storia), la giornalista se ne frega di compiacere Eco (e pur sbagliando, dimostra almeno una parvenza di capacità critica) e Dan Brown fa la fine che si merita. E tutti vissero felici e contenti.

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  2. Avatar capaldi
    capaldi

    Ma può un signore con quel riporto (sembra Jack Nicholson in “A proposito di Schmidt”) spiegarci cosa sono la bellezza e la bruttezza?

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