Arriva a fine novembre, da Einaudi, il nuovo libro di Jonathan Franzen, Zona disagio, di cui avevamo parlato qualche settimana fa riferendoci alle recensioni in Inghilterra.
Così lo descrive la scheda dell’editore:
un’autobiografia che diverte, commuove e brilla d’intelligenza. Un ritratto dell’artista da giovane che conferma lo straordinario talento narrativo di Franzen.
A quarant’anni, poco dopo la morte della madre, Jonathan Franzen ritorna a Webster Groves, il tranquillo sobborgo di St Louis dov’è cresciuto. I due fratelli maggiori l’hanno incaricato di cercare un agente immobiliare per vendere la vecchia casa di famiglia. Appena entra nelle stanze in cui ha trascorso infanzia e adolescenza, Franzen si sente un «conquistatore che bruciava le chiese e fracassava le icone del nemico». E il nemico è la famiglia. Ma questo è solo il primo impatto, perché il suo atteggiamento rivela subito un’intenzione diversa e più profonda. Se decide di entrare nella «zona disagio» che è il proprio passato, Franzen lo fa per prolungare il gesto del padre, che ogni sera muoveva il termostato del riscaldamento di casa verso la «zona benessere». In lui l’ironia è sempre accompagnata da un movimento contrario di indulgenza e innesco emotivo.
Sei sono le tessere che compongono il puzzle di questa straordinaria autobiografia: la vendita della casa di famiglia; i «Peanuts» di Charles Schulz, e in particolare Snoopy, come chiave tragicomica della contestazione degli anni Settanta; un gruppo d’ispirazione cristiana, la Comunità, specchio dell’anomalia suburbana di Webster Groves; gli scherzi adolescenziali ai danni delle strutture scolastiche, prove di indipendenza dall’autorità; l’innamoramento per la lingua tedesca, segno di una vocazione letteraria che inizia a esigere i suoi spazi; la passione per il bird watching, nascita di una coscienza ambientalista. E intrecciata a questi momenti, naturalmente, una tormentata educazione sentimentale.
La figura della madre assume, tra i personaggi del libro, il ruolo più importante: quello di guida e ispiratrice del viaggio nel passato. È la madre, Irene, a trasmettere a Jonathan il culto e la cura della memoria. È la madre a gestire i ricordi di famiglia, a riempire le stanze di fotografie, e accumulare surgelati, come «la punta di petto di manzo vecchia di nove anni», doverosamente etichettata, che Jonathan ritrova nel freezer. Conservare è l’ossessione della madre, ma anche la sua forza: modificando pezzo per pezzo la casa di Webster Groves, Irene Franzen scrive il proprio romanzo, invitando il figlio scrittore a «prestare attenzione ai dettagli», suscitando in lui, magari involontariamente e spesso con insofferenza reciproca, il talento nell’osservare, nel raccogliere, nel raccontare.
Jonathan Franzen vive a New York. Ha scritto tre romanzi: La ventisettesima città, Forte movimento, Le correzioni e una raccolta di saggi: Come stare soli.
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