L’editore di Joan Didion ha annunciato la pubblicazione di un volume con i diari della scrittrice. Uscirà in aprile in inglese, probabilmente con il titolo di Notes to John. Il riferimento è al marito di Didion, John Gregory Dunne, morto nel 2003. Joan Didion è invece morta nel 2021.
Il Guardian riferisce che il diario comincia nel dicembre del 1999 e riferisce soprattutto le sedute di analisi che la scrittrice aveva con il suo psichiatra. Il testo del diario riguarda l’infanzia di Joan, l’alcolismo, la depressione e le relazioni con la figlia adottiva, Quintana che soffriva di disturbi mentali e abuso di alcol, e che morì nel 2005 a 39 anni.
Secondo l’editore di Didion le conversazioni con lo psichiatra furono decisive per la comprensione dei temi che usò nella scrittura dei suoi ultimi libri, Blue Nights (2011), Da dove vengo. Un’autobiografia (Where I Was From, 2003), e soprattutto L’anno del pensiero magico, (The Year of Magical Thinking, 2005).
Potremmo chiederci: era necessario pubblicare i diari di Didion per completare la conoscenza della sua opera? Non è un abuso per fini puramente commerciali?
Didion ha affidato alle sue opere il suo lavoro per dare forma artistica, cognitiva ed emotiva a quei temi, e al dolore che essi contenevano; tanto più che sia Where I Was From, sia The Year of Magical Thinking, sono due opere dichiaratamente autobiografiche.
Del resto le librerie sono piene di diari e lettere private di grandi scrittori, molte volte pubblicati dopo la loro morte. In alcuni casi sappiamo che gli autori non avrebbero voluto che le loro scritture personali venissero pubblicate. In molti casi abbiamo letto pagine bellissime; penso per esempio ai diari di John Cheever che secondo alcuni critici sono addirittura migliori anche dei suoi bellissimi racconti.
MIlan Kundera ci ricorda che Max Brod pubblicò tutto dopo la morte di Franz Kafka, senza discernimento; “perfino quella lunga e drammatica lettera trovata in un cassetto, che Kafka non si era mai deciso a inviare al padre e che, grazie a Brod, tutti hanno potuto leggere, tranne il destinatario. Ai miei occhi – dice ancora Kundera – l’indiscrezione di Brod non ha scusanti. Ha tradito il suo amico. Ha agito contro la sua volontà, contro il senso e lo spirito della sua volontà, contro la sua indole schiva che egli ben conosceva”. [Milan Kundera, I testamenti traditi, Adelphi, pp. 252-253].
Elias Canetti invece ha scritto:
“Nel diario dunque si parla con se stessi. Ma che cosa significa? […]
Il primo vantaggio che si presenta all’io fittizio al quale ci si volge sta nel fatto che egli ascolta realmente. […] Tuttavia non ci si immagini che questo ascoltatore ci faciliti il compito. Poiché ha il pregio di capirci, con lui dobbiamo essere sinceri. Non solo è paziente, è anche maligno. Non lascia passare nulla, indovina tutto. […] L’altro con cui parliamo nel diario muta le sue parti. […]
Una cosa però deve essere posta in luce: un diario che non possegga questo carattere prettamente dialogico mi sembra privo di valore; non potrei tenere il mio diario se non nella forma di tale colloquio con me stesso. [Ma] nel diario non si parla solo con se stessi: si parla anche con gli altri. Tutti i colloqui che nella realtà non si possono portare fino in fondo poiché finirebbero in atti di brutalità, tutte le parole assolute, irriguardose, spietate, che spesso sentiamo di dover dire agli altri, tutto questo si deposita nel diario. In esso restano segrete, giacché un diario che non sia segreto non è un diario.” [Elias Canetti, Dialogo con il terribile partner, in La coscienza delle parole (Adelphi).]
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Immagine: Kazimir Malevich-1931- Sportivi.

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