(Questo è un esperimento eseguito ad Anghiari, durante un seminario di Biblos alla Libera università dell’autobiografia)
Ma che cos’è una recensione immaginaria? È una recensione di un libro non letto, che forse leggerò? È un inganno? Un vanto di vanitoso pigro? Una trappola tesa da una presunta fama di grande lettore che credi di portarti dietro e che ti obbliga a non deludere le aspettative di chi pensa che quel libro lo devi aver letto certamente?
Il titolo di questa recensione però un indizio ce lo offre. L’avverbio “ancora” ci dice che chi scrive, pur ingannando un po’, potrebbe farlo in buona fede (quasi in buona fede, direi) perché la lettura in effetti più tardi, prima o poi, arriverà.
Arriverà dopo la recensione, come a legittimarla, a legittimare quel suo frettoloso anticipo. Si tratta solo di scombinare un po’ il tempo, le precedenze, la logica.
Come quando ci chiedono di finire un certo lavoro «entro domani»; e a richiesta di rassicurante conferma – «la scadenza è domani, l’hai già terminata, vero, la relazione?» – la risposta non può che essere la rassicurante conferma. Alla quale seguirà una lunga notte insonne per terminare davvero il lavoro.
Insomma, intendo dire che il libro lo leggerò, quindi mi sento meno colpevole se lo recensisco prima.
Anche perché il libro che ho scelto di recensire prima di averlo letto è sicuramente un grande libro, lo scrive chiunque (insomma per quel che ne so io) si interessi al romanzo contemporaneo. È Il Passeggero di Cormac McCarthy, uno dei due romanzi – l’altro è Stella Maris – pubblicati poco prima della morte, avvenuta nel giugno di quest’anno. Due romanzi che, dicono i critici più attenti, si parlano reciprocamente, L’editore Einaudi spiega che si tratta di una dilogia. In entrambi i romanzi sono protagonisti i fratelli Western: Alicia, ricoverata in una clinica psichiatrica chiamata Stella Maris – e il fratello Bobby, che in Il Passeggero partecipa al misterioso ritrovamento e recupero di un aereo privato precipitato in mare.
Posso dunque scrivere in questa recensione anticipata – senza preoccupazione di dovermi smentire e pentire – che Il Passeggero è un libro bellissimo.
Intanto, ad aiutarmi ci sono i precedenti romanzi di McCarthy (alcuni li ho letti, alcuni parecchi anni fa). Quell’affascinante rappresentazione dell’umanità e delle sue fatiche, lotte, crudeltà nella porzione di universo arsa dal sole e dai venti, il sud-ovest degli Stati Uniti, e percorsa da molti generi di crudeltà, desideri, ossessioni. Un mondo fatto di cowboy contemporanei, assassini seriali e massacratori di nativi e messicani per gli interessi di qualche potente. Di reduci dal Vietnam che vivono in una mobile home fatiscente che incappano in un mucchio di dollari e in una guerra fra narcotrafficanti messicani, come in Non è un paese per vecchi, dal quale i fratelli Coen trassero un film memorabile. Certo il cinema ha pescato a piene mani dai romanzi di McCarthy. Compreso La strada, un romanzo che ha segnato una svolta nella produzione dello scrittore. Svolta che Il Passeggero ha rafforzato.
Di questo romanzo devo fidarmi. Un critico americano ha scritto che nei suoi due ultimi libri Cormac McCarthy ha ricostruito una cronaca familiare lavorando sui frammenti, e, per la prima volta nelle sue opere, ci mostra personaggi con una vita interiore e un passato significativo che ci viene raccontato. Come dire che negli altri romanzi, con l’eccezione di La strada aggiungerei io, dei personaggi sapevamo solo quel che mostravano le loro azioni e i loro scarni dialoghi. Il resto, per la maggior parte, si doveva intuire.
Qui invece c’è profondità psicologica, dicono i critici che l’hanno letto, e soprattutto in Il Passeggero non c’è una trama che guida, sono le digressioni, i dialoghi che non muovono l’intreccio a dominare. C’è, soprattutto, una relazione a distanza, tutta da scoprire, fra i due fratelli che, capisco leggendo altre recensioni, sono figli di uno degli scienziati del Manhattan Project.
Ho anche scoperto che Il Passeggero dovrebbe essere letto facendolo seguire da Stella Maris. Quest’ultimo si illumina del primo, ma a sua volta restituisce senso a parti del Passeggero meno comprensibili. MI fido, dunque.
In fondo, una recensione come questa è solo una dichiarazione di attese. Ma i grandi libri vanno ben oltre le attese, ci fanno ingoiare le attese. Ci portano altrove. Non fidatevi di questa recensione. Preoccupatevi solo delle vostre aspettative. In modo che nemmeno riusciamo a immaginare, McCarthy deluderà quelle aspettative. Ci convincerà a farcene di nuove. Ci porterà altrove. Dove vuole lui.

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