I libri della settimana, 20 settembre 2023

Un romanzo di sorprendente bellezza sulla guerra in Bosnia; un memoir di un polacco nell’Unione Sovietica aggredita dai tedeschi e sotto il tallone di ferro staliniano; oad ecologists che difendono umani e animali dall’aggressione degli automezzi e delle strade; due lezioni di Merleau-Ponty

I precedenti libri della settimana

Damir Ovčina, Preghiera nell’assedio, Keller, 2023, 704 pp.
Ha scritto Matteo Fontanone sull’Indice dei libri del mese: «[C]onviene dire subito che per certi aspetti si tratta di un capolavoro della letteratura contemporanea.[…] Con una scrittura in prima persona iper-denotativa, ritmata fino alla frenesia eppure fresca, immediata, diaristica, che spesso assomiglia alla rielaborazione di appunti presi a fine giornata su un taccuino: annotare tutto, si ripete come un mantra per tutto il romanzo. Lo sguardo di Ovčina è ricco fino al soffocamento, comprende ogni cosa, cattura i particolari più insignificanti, annota per non dimenticare: la neve sui tetti, la vista da una finestra, questo o quel dialogo di poco conto, le tenebre che calano di notte sulla città, il gesto di un ragazzo che smonta una cartucciera, il dolore di una madre rimasta senza famiglia, ogni singolo calcio e sopruso che ha visto o subito.»
La scheda dell’editore: «Siamo a Sarajevo ed è la primavera del 1992. Un’intera nazione si sgretola e lascia il posto alla guerra. Quando accade, un ragazzo bosniaco si ritrova nel quartiere sbagliato – Grbavica – occupato dai Serbi e per due anni è costretto a restarci, separato dalla sua famiglia: viene assegnato a una squadra di lavoro per seppellire i morti ma in mezzo a tanta crudeltà ci sarà spazio anche per la speranza e per l’incontro. Damir Ovčina, intrappolato per anni a Sarajevo durante la guerra in Bosnia, ha scritto un grandioso romanzo attingendo a vicende autobiografiche. Preghiera nell’assedio è una grande opera letteraria che per certi versi è stata paragonata alle opere di Shalamov, Grossman, Levi. Un romanzo che affronta gli orrori della guerra senza smettere di occuparsi dell’animo umano, dell’oscurità e della luce che alberga in ogni essere. Un’opera prima sorprendente che spiazza il lettore, lo getta nell’assurdità della guerra, nell’inferno sofferto dai civili, nei meandri profondi e oscuri, ed è capace di trovare la speranza tra le macerie, dove l’arte e l’amore possono sempre fiorire.»
Damir Ovčina è nato a Sarajevo nel 1973.

Józef Czapski, La terra inumana, Adelphi, 2023, 459 pp.
La scheda dell’editore: 14 agosto 1941: a meno di due mesi dall’ag­gressione tedesca dell’Unione Sovietica, e solo due anni dopo la sottoscrizione del patto Molotov-­Ribbentrop – che in un «pro­tocollo segreto» aveva stabilito la sparti­zione della Polonia –, a fronte della mi­naccia nazista viene firmato l’accordo mi­litare fra Stalin e Sikorski per la costituzio­ne, sul territorio dell’URSS, di un’armata polacca composta da soldati in preceden­za fatti prigionieri dai sovietici e deportati. All’inizio di settembre Józef Czapski, che ha servito come ufficiale nell’esercito po­lacco ed è stato internato dapprima a Sta­robel’sk e poi a Grjazovec, viene dunque liberato insieme ai suoi compagni dopo «ventitré mesi dietro il filo spinato». È l’i­nizio di un’odissea che porterà Czapski ad attraversare l’intera Unione Sovietica – e gli eventi più estremi del secolo scorso – con l’incarico di indagare sui quindicimila pri­gionieri polacchi che sembrano scomparsi nel nulla (e che verranno in parte rinvenu­ti, nel 1943, nelle fosse comuni di Katyn’). Un’odissea qui raccontata in presa diretta e in ogni – spesso sconvolgente – detta­glio: dall’esodo in condizioni disumane di militari e civili alle atroci testimonianze dei reduci dai campi, dall’incontro con il ca­po della Direzione centrale dei lager («pa­drone della vita e della morte di qualcosa come venti milioni di persone») ai contat­ti con le popolazioni. Esperienze che, per Czapski, diventano anche «una lenta, quo­tidiana iniziazione all’immensità della mi­seria umana».
Qui una bella recensione apparsa sull’Indice dei libri del mese.

Ben Goldfarb, Crossings: How Road Ecology Is Shaping the Future of Our Planet, W. W. Norton & Company, 384 pp.
Ci sono 64 milioni di strade che avvolgono il pianeta. Per gli animali – ci dice Ben Goldfarb – sono uno spazio alieno che ostacola la vita e spesso causa una morte prematura. Goldfarb ha girato in lungo e in largo gli Stati Uniti ma anche varie parti del pianeta per documentare come le strade hanno trasformato la terra. Solo negli Stati Uniti vengono uccisi sulle strade un milione di animali al giorno. Ma, come dimostrano gli studi di ecologia delle strade, i danni causati all’ambiente dalle vie di percorrenza degli automezzi vanno ben oltre questa strage. Ci sono, per esempio, specie animali – dalle antilopi ai salmoni – che stanno perdendo le loro capacità migratorie per le interruzioni causate dalle grandi autostrade. E i rumori allontano gli uccelli canori da molte aree che avevano abitato.
Le strade soprattutto sono insieme sintomo e causa di molte ingiustizie delle quali sono vittime anche gli umani. Pedoni e ciclisti uccisi dalle auto sono molto maggiori nelle comunità e nelle aree più povere e razzializzate; e le strade a traffico pesante sono state tracciate in spazi urbani periferici trascurando gli interessi vitali di chi vive nelle aree tagliate da questi nastri di asfalto; o addirittura sono state progettate con intenti punitivi – per esempio le highways delle città del sud degli Usa costruite negli anni Sessanta attraversando quartieri dove più forte era l’azione per la richiesta di diritti civili della popolazione afroamericana.
Goldfarb si occupa anche dell’azione politica dei cosiddetti road ecologists che lavorano in tutto il pianeta per contrastare lo strangolamento causato dall’uso delle auto e dalle strade che le ospitano.
Una bella recensione sulla New York Review of Books: Toward a Land of Buses and Bikes dedicata in particolare alle attività dei road ecologists.

Maurice Merleau-Ponty, Il mondo sensibile e il mondo dell’espressione. Corso al Collège de France, 1953. Mimesis, 2023
Due lezioni del grande filosofo francese dedicate al rapporto tra fenomenologia e ontologia.
La prima si occupa, a partire dal concetto di “istituzione”, degli eventi che rendono l’esperienza durevole, che la rendono una storia.
La seconda riguarda invece Il problema della passività. Si tratta delle parti della vita cosciente – sonno, sogno, memoria, inconscio – che apparentemente si distinguono dal modello istituente. Attraverso questi fenomeni liminali, che condizionano il corso della nostra esistenza, il filosofo descrive una modalità di appartenenza al mondo più primitiva rispetto all’attività del pensiero e che si realizza mediante la nostra presenza corporea.

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