E se nella nostra vita fossero le didascalie e i paratesti a mancare?

Riflessione su titoli, copertine, prefazioni e soprattutto didascalie. Sulle «soglie» di Genette che possono solo essere attraversate: ci tengono insieme ma ci aiutano a vederci diversi e plurali

Distrazioni, 2023, luigi gavazzi

Lo scorso settembre un amico che lavora a Venezia mi ha invitato a vedere la Biennale Arte insieme a un suo conoscente, un uomo sui sessantacinque che di lavoro fa la guida free lance per i turisti ed è da molti anni (così ha detto) un insider del mondo dell’arte contemporanea.
In effetti, è uno che alle nostre orecchie e ai nostri occhi interessati ma un po’ esterni, solo spettatori di quel mondo, è apparso uno che ne sa. Tra le tante cose dette – molte assai interessanti e utili per capire cosa ci si trovava davanti, altre che suonavano come spacconate divertenti – questa guida ci ha intrattenuto alcuni minuti per esprimere i suoi giudizi sferzanti sull’«arte della didascalia nelle mostre d’arte».
La sua tesi era, riassumo, che le didascalie alla Biennale erano piuttosto approssimative e troppo lunghe (io avevo appena finito di dire che mi sembravano utili e ben fatte, almeno per un profano); contorno della sua tesi è che in generale in Italia musei e mostre hanno, salvo poche eccezioni, pessime didascalie. In particolare si era accanito sulle nuove didascalie d’autore a Brera; quelle affidate a scrittori, brevi testi che prendono l’opera di taglio, e la interpretano non da specialisti ma da osservatori attenti (a me affascinano) e che affiancano le didascalie istituzionali sull’opera.
Quando ho letto l’articolo di Vincenzo Trione sullo Lettura del Corriere di domenica 20 agosto, «Salvate le didascalie», ho pensato subito alla nostra guida alla Biennale e con sollievo al fatto che Trione la pensasse in modo che sentivo vicino. Trione ovviamente ha argomentato molto meglio e con molti più contenuti di me.


Leggi anche: I libri della settimana, 2 agosto9 agosto, 16 agosto.


Ora vi copio il decalogo che Trione ha scritto su come dovrebbero essere le didascalie in musei e mostre. Mi sembra una buona griglia.
Prima però volevo cogliere il suo suggerimento di considerare le didascalie in modo non diverso dalle «soglie» studiate da Gérard Genette (Soglie, Einaudi 1989). Le soglie sono, in sostanza, i paratesti.
Spiega la quarta del volume Einaudi:
«Un’opera letteraria è sostanzialmente costituita di un testo, ossia di una serie piú o meno lunga di enunciati verbali dotati di significato. Molto raramente, tuttavia, il testo si presenta nella sua nudità, senza il supporto di un certo numero di produzioni, verbali e non verbali, che lo contornano, lo presentano, fanno di esso un «libro». Sono queste produzioni – prefazioni, dediche, copertina, scelte tipografiche, ecc. – ciò che costituisce il paratesto, l’area di transizione tra il dentro e il fuori, la soglia, insomma, del testo letterario. Quest’apparato, troppo visibile per essere percepito, agisce in parte all’insaputa del destinatario. E tuttavia il suo apporto è spesso rilevante: come leggeremmo l’Ulysses se non si intitolasse Ulysses? Questo studio, il primo dedicato al complesso di una pratica tanto rilevante nel mondo delle lettere, vuole essere un’introduzione, ma al contempo un’esortazione a considerare più da vicino ciò che regola nascostamente le nostre letture. Una soglia, del resto, può essere solo attraversata.»

Queste soglie, che possono solo essere attraversate, sono forse ciò che ci manca in alcune relazioni quotidiane, con persone note, sconosciute, amate o detestate, con le quali finiamo, per così dire, direttamente dentro il testo, senza quel che segna i confini, che offre un titolo, una dedica, una copertina, una introduzione o una prefazione o anche solo una didascalia. La mancanza di soglie nella vita quotidiana può forse spiegare la nostra difficoltà estrema nello spiegarci, nell’accogliere, nell’ascoltare davvero. Perché le soglie potrebbero essere proprio ciò che ci fa dialogare ma che allo stesso tempo ci fa essere plurali e diversi perché ci separa, (un po’ come il tavolo di cui scriveva Hannah Arendt).

**

Ecco il decalogo di Trione sulle didascalie:
1) Le didascalie devono essere scritte direttamente dal curatore del museo o della mostra, pensando al pubblico e non a qualche collega (hanno la stessa importanza del saggio introduttivo di un catalogo;
2) le didascalie devono essere rigorose e documentate;
3) le didascalie devono essere redatte in una prosa piana e semplice;
4) le didascalie devono essere precise nelle informazioni (nome e cognome dell’artista, luogo e data di nascita, titolo e data dell’opera, misure, tecnica utilizzata, provenienza);
5) le didascalie devono prevedere anche parti narrative;
6) le didascalie devono essere capaci di svelare alcuni segreti di una determinata opera; le relazioni dell’artista con l’ambiente sociale dentro cui quell’opera è stata realizzata; i rimandi storico-artistici e culturali sottesi; le caratteristiche stilistiche;
7) le didascalie devono essere ben visibili, accanto all’opera;
8) le didascalie devono essere stampate in un corpo tipografico leggibile;
9) le didascalie devono essere correttamente illuminate;
10) le didascalie devono essere integrate da Qrcode, che permettano di accedere ad apparati testuali e visivi, per ulteriori approfondimenti,

Commenti

7 risposte a “E se nella nostra vita fossero le didascalie e i paratesti a mancare?”

  1. Avatar Mariangela
    Mariangela

    @Tutti @Luigi

    A proposito di didascalie nei musei:

    ► Anna Chiara Cimoli, “Riscritture identitarie. I testi museali alla prova delle trasformazioni sociali”, in “Senza titolo: le metafore della didascalia”, a cura di Maria Chiara Ciaccheri, Anna Chiara Cimoli, Nicole Moolhuijsen, Nomos, 2020, 103 p. (pp. 45/58)

    Articolo interessantissimo, presenta esempi concreti di riscrittura delle didascalie riportando alcuni episodi museali che si sono recentemente conclusi in Europa e nel mondo. L’obiettivo è quello di disincrostare la presentazione delle opere dalla narrazione coloniale che ha accompagnato i luoghi di cultura ancora in tempi recenti (e che talvolta ancora li contraddistingue).

    Mi ha fatto impressione il fatto che, terminato il progetto di “Adjustment of Colonial Terminology” del Rijksmuseum di Amsterdam, sono fioccate le critiche; in pratica finita l’operazione di integrazione, correzione o sostituzione delle didascalie secondo criteri più rispettosi della verità storica, i curatori sono stati accusati di ipocrisia e di avere effettuato una mera operazione di maquillage. Condivisibile lo sdegno dell’autrice: sembra che la correttezza sia qualcosa di cui doversi vergognare!

    Nel caso dei musei che espongono materiale proveniente dai paesi extra-europei, quelli che fino a poco tempo fa si definivano “musei etnografici”, la questione delle didascalie, ma direi dell’allestimento in generale, si fa particolarmente delicata: leggevo altrove della vicenda delle teste Maori, restituite qualche anno fa dalla Francia – ma non senza polemiche – agli aborigeni australiani.Belle letture anche quelle!

    Mariangela

    "Mi piace"

  2. Avatar I libri più belli, letti nel 2023 (aggiornamento 25.8.23) – GRUPPO DI LETTURA

    […] Anna Chiara Cimoli, Nicole Moolhuijsen, Nomos, 2020. Segnalato da Mariangela a proposito del tema delle “didascalie” del quale abbiamo qualche giorno fa. Qui il commento completo di […]

    "Mi piace"

  3. Avatar Mariangela
    Mariangela

    @Tutti
    Mi sono procurata il libro citato da Luigi nell’articolo:

    ► Gérard Genette, “Soglie: i dintorni del testo”, a cura di Camilla Maria Cederna, EINAUDI, 1989, 443 p

    Sul libro, dopo trenta pagine, dico solo che non avevo in programma un saggio così corposo ed impegnativo, quindi non so se riuscirò a rendergli onore, meriterebbe tempo ed impegno!

    Per quanto riguarda il paragone con le didascalie dei musei, non ho ancora le idee chiare. Da un lato sono indotta a pensare che il parallelo regga solo fino ad un certo punto: il testo secondo me rimane più indipendente dal paratesto di quanto il materiale esposto al museo lo sia rispetto all’allestimento e alla didascalia; è vero che il paratesto accompagna e sostiene il testo, ma alla fine, sarei indotta a dire, è proprio il testo che nella nostra mente di lettori si impone e si imprime (parlo delle opere letterarie, per la saggistica è un’altra storia ancora). Poi, però, apprendo che nel paratesto, più precisamente nel peritesto editoriale, rientrano anche il formato e il carattere di stampa (quante cose si ignorano senza i libri giusti!). E qui cominciano i dubbi: non ho forse sempre sostenuto, come lettrice, che un carattere troppo piccolo può rendere respingente una lettura e inibircela?

    La questione rimane aperta, in ogni caso ringrazio per la la segnalazione!
    Mariangela

    "Mi piace"

  4. Avatar luigi gavazzi

    Ciao Mariangela, davvero interessante la tua annotazione: in effetti io avrei detto il contrario, il paratesto mi sembra più “dentro” il testo di quanto una didascalia sia rispetto all’opera d’arte. Entrambe soglie ma il paratesto più dipendente. Merita approfondire, ci devo pensare un po’ su. Grazie ancora 🙂

    "Mi piace"

  5. Avatar Mariangela
    Mariangela

    @Tutti

    Sono lì che rovisto tra le novità della Sormani, e vedo questo libro. Ho pensato subito ai nostri discorsi su musei e didascalie e l’ho preso in prestito. Un articolo mi ha chiarito molte cose:

    ∆ Maria Chiara Ciaccheri, ‘Comprendere le barriere” in Chiara Ciaccheri, Fabio Fornasari , “Il museo per tutti: buone pratiche di accessibilità”, La meridiana, 2022, 110 p. (pp.33/41)

    Cosa sono le barriere quando si parla di accessibilità? Io le ho sempre intese come ostacoli architettonici, non so, una scala, un dislivello da superare, invece il termine è da intendersi in senso più ampio. Possono rappresentare un ostacolo un sito web che non fornisce le informazioni sul tema, è una barriera un ingresso non accogliente (anche qui tornano ‘le soglie”!), rappresenta un disincentivo alla visita un percorso non funzionale, magari con illuminazione inadeguata, con didascalie (sempre loro!) non leggibili o poco comprensibili. Il tema è spiegato bene, è un libro per tutti, non solo per addetti ai lavori.

    Io penso che anche per i visitatori non disabili un minimo di confort dovrebbe venire assicurato. In certi musei milanesi non c è guardaroba, secondo loro uno dovrebbe visitare le sale con il giaccone sul braccio. E le borse? Vi assicuro una volta volevo depositarla , ma mi hanno risposto: “Accettiamo gli zaini, non le borse!”. Non avevo voglia di discutere per cercare di comprendere la differenza tra il fatto di depositare una borsa oppure uno zaino: mi sono arrabbiata, ho attraversato le sale senza alzare gli occhi sulle vetrinette, e ho imboccato l’uscita!

    Mariangela

    "Mi piace"

  6. Avatar Mariangela
    Mariangela

    Torno al libro di cui parlavamo:

    ► Gérard Genette, “Soglie: i dintorni del testo”, a cura di Camilla Maria Cederna, EINAUDI, 1989, 443 p

    Questo è un testo che gli appassionati di letteratura francese non devono lasciarsi scappare! L’autore fa molti esempi per spiegare gli elementi del paratesto e, nella maggior parte dei casi, cita i capolavori d’oltralpe, Balzac, Zola, Proust e tanti altri. Io sono in po’ in difficoltà, in effetti, perché di francesi non ne ho letti tanti, ma chi ha la passione, non si lasci scappare l’occasione!

    Mariangela

    "Mi piace"

  7. Avatar Mariangela
    Mariangela

    Ve l’ho detto, il libro di Genette merita davvero. Metto qui una specie di riassunto/parafrasi di quella che per lui è la definizione di paratesto.

    Il paratesto non deve abbellire il testo, la sua funzione è quella di stendere un ponte tra il testo, relativamente immutabile, e la realtà empirica socio-storica del pubblico. Si potrebbe affermare che il paratesto è uno strumento di adattamento, in questo modo si comprende perché si modifichi costantemente ad ogni nuova edizione.

    Non è detto che il paratesto svolga sempre bene la propria funzione, può accadere che come ogni intermediario il paratesto tenda a travalicare la sua funzione e diventi uno schermo e che giochi la sua partita a scapito del testo.

    Vi è capitato mai di imbattervi in un paratesto un po’ ipertrofico e invadente che svilisse il testo?

    Io sto facendo mente locale.

    Mariangela

    "Mi piace"

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Scopri di più da GRUPPO DI LETTURA

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continua a leggere