Il desiderio di Achab

Insomma, Melville sa da che parte stare. Ed è stupefacente riconoscere in lui un antesignano ecologista, un naturalista preoccupato delle sorti del pianeta e dell’estinzione delle balene

Ci si avvicina a Moby Dick sempre in punta di piedi. La sua fama lo precede e su questo poema epico in prosa la critica letteraria ha già scritto di tutto. Ho deciso dil leggerlo la scorsa estate con un misto di soggezione, timore ma soprattutto determinazione: dovevo arrivare in fondo. Conoscevo bene (per averla studiata sui libri) la furia tassonomica di Melville e mi spaventava l’avversione che suscitava in me. Insomma, era estate, perché avrei dovuto sottopormi in vacanza a un esercizio penitenziale di pagine e pagine di classificazioni scientifiche e approfondimenti naturalistici? Perché sì, e ora ve lo spiego. Cominciamo dall’inizio: il tono intimo e affabile rivolto al lettore, con quella velatura ironica sempre sotto traccia, strappa subito il sorriso. Ma capisci ben presto che non sarà una passeggiata: Catone ti avvisa già nel primo paragrafo. Dopo poche pagine, il furore linguistico di Melville ti avvolge come un vestito prezioso. Un’impressionante cornucopia di metafore, iperboli, metonimie, similitudini e tutte le altre figure retoriche contemplate in letteratura, si rincorrono per tutto il libro senza soluzione di continuità. Trascinati in questa bufera lemmatica, tra una maratona sinonimica e un addestramento sintattico che passa attraverso tutti gli stili (poetico, scientifico, narrativo, divulgativo, comico, parlato e cronachistico), si cerca di rimanere attaccati al filo d’Arianna della trama. E ci si riesce, ma a un prezzo: al centro del labirinto dovrai incontrare il mostro. Che non è, come si può ingenuamente pensare all’inizio, Moby Dick: ma te stesso e il tuo rapporto con il desiderio, che per sua natura rimane ontologicamente insoddisfatto e con cui dovrai venire a patti, nel libro e nel mondo.

L’intero impianto corale del testo lo ribadisce. Ismaele, l’Io narrante, per sfuggire al suo “umor nero e accodarsi a tutti i funerali che incontra” (lo dichiara nella prima pagina), Starbuck, il primo ufficiale, alla “brada solitudine acquea della sua vita”, Stubb, ufficiale in seconda, al suo empio buonumore, Achab al tormento della sua falcata d’avorio.

Ma andiamo con ordine. Nonostante la struttura polifonica del libro, i protagonisti che rubano la scena sono tre: il mare e il nostro rapporto di amore-odio con la natura (tema quanto mai attuale oggi stesso), Achab, il capitano del Pequod e la sua inflessibile ostinazione prodiera verso il suo (nostro) Leviatano irraggiungibile e Moby Dick, il desiderio instancabile che ci costringe a circumnavigare il globo terrestre per fare i conti con la nostra finitezza.

Il mare, che a prima vista potrebbe sembrare uno sfondo, fin dalla prima pagina è un personaggio a tutti gli effetti: la caratteristica di Manhattan è che a destra e a sinistra tutte le strade portano verso l’acqua, dove “migliaia di mortali sono fissi in fantasticherie oceaniche”. E in tutto il libro il mare è un regolatore di emozioni. Ora emana calma e quiete (“Quell’oceano sereno srotolava davanti a me verso Oriente mille leghe d’azzurro”), ora stordimento e abbandono (“Le onde ciondolavano le creste indolenti, e da una parte all’altra della vasta catalessi del mare l’est ciondolava all’ovest e il sole su tutto”), ora angoscia di morte (“I mescolati e mescolantisi fili della vita si intrecciano nell’ordito e nella trama: bonacce incrociate a burrasche, una burrasca per ogni bonaccia… Contemplando la pacifica bellezza e brillantezza della pelle dell’oceano ci si dimentica del cuore di tigre che vi pulsa sotto, e non si rammenta volentieri che questa zampa di velluto cela soltanto una grinfia spietata”).

Achab, forgiato nel bronzo “come il Perseo del Cellini, sembra un uomo strappato dal rogo allorché il fuoco ha invaso devastandole tutte le membra senza consumarle”. Percuote instancabilmente il cassero della nave con il suo passo osseo, la sua gamba d’avorio modellata dalla mascella di un capodoglio, con lo sguardo puntato verso l’orizzonte. “Era roso dentro e scorticato fuori dalle confitte, inesorabili zanne di una incurabile idea”: uccidere Moby Dick. “Ed era così colmo del suo pensiero che a ogni invariabile virata da lui compiuta, quasi potevi vedere quel pensiero virare a sua volta dentro di lui alla sua virata e camminare in lui mentr’egli camminava”. Questo desiderio irrefrenabile lo consuma giorno dopo giorno: “la balena bianca gli nuotava davanti come la monomaniaca incarnazione di tutti quei malevoli agenti da cui certi uomini profondi si sentono mangiare dentro, finché sono ridotti a vivere con metà cuore e mezzo polmone”.

Moby Dick è un precipitato simbolico, oltre che un capodoglio albino. Reminiscenza biblica, emblema del male e della colpa originaria dell’umanità, raffigurazione della potenza naturale, icona della morte: la critica letteraria ne ha scritto in lungo e in largo. Ma per tutto il libro, rimane per il capitano del Pequod, del suo equipaggio e per noi la forza del desiderio, il vigore dell’impulso, la tempra della volizione. E con questa pulsione (che è anche di morte, come riaffiora più e più volte nel testo) dobbiamo fare i conti per tutta la vita. La balena bianca è una forza primigenia: dalla sua coda (il principale motore della sua propulsione) trae la sua straordinaria forza che “non tende in alcun modo a storpiare l’aggraziata flessione dei suoi movimenti, nei quali l’infantile scioltezza fluttua nel titanismo della potenza. La vera forza non guasta mai la bellezza o l’armonia, anzi spesso la consacra. E in tutto ciò che è solennemente bello, la forza ha molto a che fare con l’incanto“.

Insomma Melville sa da che parte stare. Ed è stupefacente riconoscere in lui un antesignano ecologista, un naturalista preoccupato delle sorti del pianeta e dell’estinzione delle balene: “Il punto controverso è se il Leviatano potrà resistere a lungo a una caccia così ampia e a una devastazione così accanita, se alla fine non sarà sterminato dalle acque, e l’ultima balena, come l’ultimo uomo, fumata la sua ultima pipa non svaporerà nello sbuffo finale“. All’autore è molto chiara l’interconnessione tra gli esseri viventi, come fa dire a Ismaele: “Compresi che questa mia situazione era l’esatta situazione di ogni mortale vivente” e che ognuno di noi ha un “collegamento siamese con una pluralità di altri mortali. Se il tuo banchiere va in rovina, tu vai in pezzi; se il tuo farmacista ti mette per sbaglio del veleno nelle pillole, tu crepi”. È una lezione che conosce bene anche il “cannibale” Queequeg: “È un capitale a fondo comune il mondo, sotto tutti i meridiani”.

A noi la scelta se prender il mare seguendo la smania del nostro desiderio (ma almeno poniamoci la domanda sarcastica di Stubb: “Mi chiedo se il mondo non sia ancorato da qualche parte; se sì, gira su un cavo straordinariamente lungo però”), a patto che si rimanga ben consapevoli della nostra geolocalizzazione. Melville della sua pare piuttosto sicuro: “Il giro del mondo! Molto c’è in questa espressione per ispirare sentimenti d’orgoglio; ma dove porta tutta questa circumnavigazione? Soltanto, attraverso innumerevoli pericoli, a quel medesimo punto donde siamo partiti, dove coloro che ci siamo lasciati dietro al sicuro sono rimasti per tutto il tempo davanti a noi. Nell’inseguire i remoti misteri di cui sogniamo o nel tormentoso dar la caccia a quell’indemoniato fantasma che, prima o poi, nuota davanti a ogni cuore umano, andando così in battuta per la rotondità del globo, essi o ci conducono in sterili dedali o ci lasciano annientati a metà strada”.

Le citazioni sono prese dall’edizione Feltrinelli curata e tradotta da Alessandro Ceni, la foto (mia) è un’installazione di Edoardo Tresoldi.

Qui trovate i miei post precedenti: https://gruppodilettura.com/author/theleeshore/

Commenti

Una replica a “Il desiderio di Achab”

  1. Avatar I libri più belli, letti nel 2023 (aggiornamento 12.6.23) – GRUPPO DI LETTURA

    […] Herman Melville, Moby Dick o la balena, 1851. Lo segnala e ne scrive a lungo theleeshore sul nostro blog: «Dopo poche pagine, il furore linguistico di Melville ti […]

    "Mi piace"

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Scopri di più da GRUPPO DI LETTURA

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continua a leggere