
Pare che Jack Kerouac leggesse Proust avidamente e ne parlasse spesso con Neal Cassady, che invece non l’aveva letto.
Al nocciolo era un gruppo di lettura.
Non è un’esagerazione, anche se è un po’ forzata la definizione. Soprattutto se Neal non l’aveva letto davvero. (Perché, è giusto ribadirlo, in linea generale credo che parlare di un libro sia sempre bello e creativo, anche a qualcuno che non l’ha letto. D’altra parte, se l’interlocutore conosce il libro ed è disposto a scavarsi dentro, è assai più efficace).
Però il gruppo fra Neal e Jack mi piace perché ci dice direttamente cosa fanno i gruppi di lettura: ai lettori piace parlare dei libri che leggono; quasi tutti ne sentono il bisogno. Per differenti pulsioni e desideri, d’accordo. Ma il più delle volte per capire di più: del libro; ma anche di se stessi, di ciò che sta intorno. E c’è quel bisogno di mettere alla prova di un interlocutore il discorso elaborato interiormente (dentro) attorno al libro, aspetto decisivo della fenomenologia del lettore.
È la faccenda dei “Gruppi di lettura fluidi” e di quelli che “escono dalle biblioteche“. Aggregazioni provvisorie attorno al bisogno e alla voglia di esprimere pensieri specifici e focalizzati su un libro, un autore.
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