
INTERVISTA A UN LETTORE (PARTE SECONDA)
Ma pensi mai di perdere tempo leggendo Proust?
Be’ ovviamente no. Credo però che la lettura di Proust – così prolungata e con le caratteristiche di immersione e distacco dalla Storia (con la lettera maiuscola) che richiede (ne abbiamo accennato la volta precedente) accentui una delle grandi contraddizioni del lettore, con ogni libro: il cruccio di perdersi altre letture mentre si dedica a quella che ha scelto.
Per me è una costante, con tutti i libri: la consapevolezza di aver tanto da leggere mi fa pensare che oltre ad avere (più o meno) grande piacere da quel che sto leggendo, mi possa perdere qualcosa perché non ho altro tempo.
D’abitudine leggo sempre almeno due libri contemporaneamente, oltre ad alcuni saggi su riviste e siti web.
Poi ci sono i giornali, che diventano particolarmente assillanti nei periodi di grandi mutazioni, come quelli che stiamo vivendo.
Ecco, Proust accentua questa pressione, perché richiede tanto tempo e tanta attenzione: quindi impone di sacrificare altre letture.
Ma non solo per questo. Anche perché, e di questo abbiamo già parlato l’altra volta, Proust è così lontanto, nel suo romanzo, dalle trasformazioni sociali, dagli scontri di classe, dalla guerra, dalla fine degli equilibri fra le potenze (tutte cose che in effetti quando scriveva la Recherche erano anche più intensi di quelli attuali, forse), che questa lettura sembra servirci poco per affrontare questi sconvolgimenti.
Quindi è una lettura che ci allontana dalla storia, in un momento in cui vorremmo capire invece, a fondo, la storia e il presente. In questo senso, leggere Joyce o Kafka o anche Musil o Mann ti fa sentire molto più “vicino”, dentro le trasformazioni del mondo.
In questo, è davvero faticoso stare a lungo dentro la Recherche. Per questo trovo indispensabile uscire da lì, ogni tanto, leggere molto anche d’altro. Per questo sarà una lettura che mi accompagnerà a lungo, molto a lungo.
Senti ma non è che la tua lettura di Proust sia semplicemente sbagliata? Intendo dire, mi sembra, da quello che dici, che tu lo stia leggendo proprio come un romanziere realista, contraddicendo peraltro quello che tu stesso hai detto la scorsa volta. Non credi?
Guarda, credo di avere una lettura un po’ troppo selettiva. Vale a dire – dando per scontato il fatto che la lettura di Proust sia un enorme piacere – ho anche io l’impressione che quel che tengo sia una versione assai parziale delle parti della Recherche lette. Insomma, hai ragione, mi sfugge, via via che le pagine scorrono, che non sto leggendo Musil o Mann, appunto. È inutile interrogare Proust sulla società francese davanti a Dreyfus, per esempio. Eppure io scivolo verso quella lettura.
Ti faccio un esempio.
Nel secondo volume, “All’Ombra delle fanciulle in fiore” un passaggio che mi ha colpito molto è quello relativo all’osservazione che in narratore fa a proposito di coloro – pescatori e operai, e qualche piccolo borghese – che si avvicinano all’ora di cena alla veranda-sala da pranzo dell’Hotel a Balbec, che guarda la spiaggia, e nella quale, a sera, si raduna il bel mondo che alloggia in albergo, sfoggiando la propria ricchezza, discreta magari, ma evidente.
Ebbene il narratore, da dentro questa sala illuminata, che vista da fuori ricorda un acquario, si chiede quando arriverà il momento nel quale i piccoli pesci dell’acquario incantato verranno mangiati da quelli che stanno fuori.
Ecco, è uno dei pochi accenni alla “questione sociale” esplicitamente presenti nel secondo volume della Recherche, che ha evidentemente ben altro al suo centro, anche se la complessità della costruzione proustiana sa includere “digressioni” che digressioni non sono, ma chiamano in causa la sensibilità ricchissima dell’autore; sensibilità che ancora il narratore del secondo volume ovviamente non possiede.
Ecco che però questa lettura così avida di un aspetto “secondario” forse è una lettura forzata, troppo parziale.
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