
Ho dovuto pensare un po’ prima di scrivere la recensione di Steve Jobs, di Walter Isaacson, ed. Mondadori. Non leggo abitualmente molte biografie, quindi non ho metri di paragone. Di contro, provo una profonda ammirazione, stima e rispetto per Jobs, che può portarmi a una distorsione nel giudizio. Così in questa recensione voglio riportare un po’ di frasi che mi hanno colpita.
Fatto sta, che ho divorato il libro, e la mia ammirazione per il personaggio è cresciuta ancora di più. Sarei comunque portata a dire che è un libro che va letto, Appla-maniaci come me o no. Steve Jobs è stato un personaggio controverso, ma non si può negare la sua genialità, e qualcosa da imparare nella sua vita c’è per tutti. E le risate che mi ha strappato dalle pagine di questo libro…
Si legge infatti come fosse un uomo difficile, con un carattere complicato, visto che Isaacson (su spinta dello stesso Jobs e della moglie) ha voluto (per quanto possibile) riportare la verità, senza nascondere nulla né fare sconti a nessuno. Sembrava quasi privo di filtri, in grado di dividere il mondo (persone, cose e idee) in due classi: bianco o nero, fenomeno o incapace, idea geniale o stronzata. Un uomo che si credeva sopra a ogni legge, tanto da arrivare a girare senza targa sulla propria Mercedes (perché, gli chiede Isaacson. “Perché certe volte la gente mi segue, e se ho la targa è possibile risalire al mio indirizzo. Però adesso, con Google Maps, è una precauzione obsoleta. Quindi la vera risposta è: perché no”) o a suonare il clacson al vigile che gli stava scrivendo la multa per eccesso di velocità perché ci stava mettendo troppo e lui aveva fretta. Anche facile all’ira: molte le scene di sfuriate presenti nel libro, mi ha strappato un sorriso lo scambio con l’account dell’agenzia creativa che si occupava delle pubblicità Apple:
“Le tue pubblicità fanno schifo. L’Ipad sta rivoluzionando il mondo. Abbiamo bisogno di qualcosa di grande. Invece tu hai fatto una merdina.”
“Be’, che cosa vuoi?” ribatté duramente Vincent. “Non sei ancora riuscito a dirmi che cosa vuoi.”
“Non lo so” gli rispose Jobs. “Devi portarmi qualcosa di nuovo. Niente di ciò che mi hai fatto vedere ci si avvicina neppure vagamente.”
[…] “Devi dirmi che cosa vuoi” urlò Vincent.
“Devi farmi vedere della roba buona e lo saprò quando la vedrò” gli rispose Jobs.
“Oh, fantastico! Questa la posso scrivere nel brief per i miei creativi: quando la vedrà, la riconoscerà.”
Ma questo credersi al di sopra delle comuni leggi del mondo, l’ha portato a cambiare il mondo, grazie anche a quello che i suoi collaboratori e amici chiamavano il campo di distorsione delle realtà, parafrasando un termine di Star Trek:
Steve ha un campo di distorsione della realtà. […] In sua presenza la realtà è malleabile: lui è in grado di convincere chiunque di qualunque cosa. Appena esce dalla stanza, il campo svanisce, ma questo rende difficile fare programmi realistici.
Ci sono tanti esempi del suo campo di distorsione della realtà nel libro, dalle numerose volte che impone (ma imporre non è neanche il termine corretto… lui dichiara, e tutti non possono che convincersi che sia così) tempi di produzione folli, a quando convince fornitori esterni di essere in grado di produrre qualcosa di nuovo, fino alla negazione del suo cancro per molti mesi, in cui ha voluto curarsi solo con una dieta.
Il libro ripercorre la sua vita, grazie ad interviste allo stesso Steve Jobs (è stato lui a volere la biografia, con l’intento di lasciare un ricordo vero di lui ai 4 figli, ai quali riconosce di non avere dedicato molto tempo), alla moglie, alla famiglia, ai collaboratori, agli amici e ai nemici (Bill Gates, primo fra tutti), ai giornalisti. L’infanzia segnata dall’adozione, la sua genialità precoce a scuola, gli anni del college e della ribellione (LSD, droghe, comuni, una figlia non riconosciuta), la Apple fondata nel garage del padre con l’amico Woz, la crescita dell’azienda grazie al suo genio, gli anni duri della cacciata dalla Apple per il suo carattere e la sua incapacità a comandare, la NeXT e la Pixar, il matrimonio con Laurene Powell e la nascita dei 3 figli, il ritorno alla Apple, il Mac, l’Ipod, iTunes, l’Iphone, l’Ipad… Quanto ha influenzato la nostra vita Steve Jobs e la Apple?
Forse genio non è il termine più corretto. Steve non era un designer, non era un ingegnere. Però era un perfezionista, e aveva il dono di tirare fuori dagli altri il loro meglio, nonché di avere un sesto senso per quello che avrebbe avuto successo. In grado di perdere ore discutendo sul tono di grigio che dovevano avere le insegne delle toilette degli Apple Store, o di far rifare cinquanta volte l’imballaggio delle scatole del Macintosh, di far assemblare i suoi prodotti in modo tale che gli utenti non potessero intervenire per aprirli e modificarli, perché erano già perfetti così, e di curare con la massima cura anche il design delle componenti interne non visibili, perché, come gli aveva insegnato il padre adottivo:
Un falegname che costruisce un bel cassettone non usa un pezzo di compensato per la parte posteriore, nemmeno se questa è appoggiata al muro e nessuno la vedrà mai. Siccome sappiamo che è lì, useremo per il retro un bel pezzo di legno. Per poter dormire bene la notte, bisogna essere sempre coerenti fino in fondo nel perseguire un’estetica e una qualità perfette.
O ancora, con le parole dell’amico Woz: “Il genio di Steve consiste nel fatto che lui sa come rendere le cose semplici. E per farlo, a volte, è necessario controllare tutto”.
Un genio, ma anche un uomo. In occasione dell’anniversario di 20 anni di matrimonio con la moglie Laurene le scrive:
Vent’anni fa non ci conoscevamo granché. Ci siamo lasciati guidare dal nostro intuito: mi hai tolto la terra sotto i piedi. Nevicava quando ci siamo sposati all’Ahwahnee. Gli anni sono trascorsi, sono arrivati i bambini, i momenti di felicità, quelli di difficoltà, ma mai di infelicità. L’amore e il rispetto reciproco sono rimasti intatti e sono cresciuti. Abbiamo fatto tanta strada insieme, ed eccoci qui – più vecchi, più saggi, con qualche riga sul volto e nel cuore – dove abbiamo iniziato vent’anni fa. Abbiamo sperimentato molte delle gioie, dei dolori, dei misteri e dei prodigi della vita, ed eccoci ancora insieme. Sotto i miei piedi, la terra non è mai tornata.
L’ultimo capitolo del libro si intitola Ah, ancora una cosa, parafrasando l’espressione tipica che usava Jobs al termine di quei veri e propri show che erano le presentazioni dei lanci dei nuovi prodotti, per stupire con qualche chicca o una battuta finale il suo auditorium. Inizia così:
I biografi si suppone debbano avere l’ultima parola. Ma queste è una biografia di Steve Jobs. Anche se su questo progetto non ha imposto la sua leggendaria ansia di controllo, credo che non gli renderei giustizia, non renderei giustizia alla sua capacità di affermare se stesso in ogni situazione, se lo facessi uscire di scena senza qualche sua battuta conclusiva.
E riporta quindi una lunga riflessione di Jobs su ciò che sperava di lasciare dietro di sè:
Ho votato la mia passione alla realizzazione di un’azienda capace di durare nel tempo, dove la gente fosse motivata a fabbricare prodotti d’eccellenza. Tutto il resto era secondario. Certo, il profitto era importante, perché era quello a metterci in condizione di creare prodotti eccellenti. Ma la motivazione stava nei prodotti, non nei profitti. […] Alcuni dicono: “Date al cliente quello che vuole”. Non è la mia impostazione. Il nostro lavoro consiste nell’immaginare ciò che il cliente vorrà, prima ancora che lo faccia lui stesso. Se non sbaglio, una volta Henry Ford ha detto: “Se avessi chiesto ai clienti che cosa volevano, mi avrebbero risposto: ‘Un cavallo più veloce!’”. La gente non sa ciò che vuole, finché non glielo fai capire tu. Ecco perché non mi sono mai affidato alle ricerche di mercato. Il nostro compito è leggere le cose prima che vadano in pagina. […]
*giuliaduepuntozero
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