Ero venuto perchè uno non può campare così, facendo finta di non vedere quello che ti capita attorno. Perchè io, fino allora, ero sempre a quella maniera che avevo fatto. Che solo alle cose mie mi interessavo. E il resto niente. Come se non esisteva.

E’ in queste considerazioni, fatte dall’agente Acanfora al funerale di Sarah, il messaggio forte e civile contenuto nel bel romanzo di Andrej Longo “Chi ha ucciso Sarah” ed. Adelphi.
In una caldissima giornata di agosto (il caldo sarà una presenza costante in tutta la vicenda), il giovane agente Acanfora, avvisato dalla centrale, scopre nell’androne di un palazzo di un elegante quartiere di Napoli, il corpo di Sarah:
Stava sdraiata per terra….E stava intorcinata su se stessa, come a una gatta che dormiva. Ma lei non dormiva. Era morta. …….Con una mano ho provato a chiuderci gli occhi, ma continuavano ad aprirsi.
Il commissario Santagata e Acanfora indagano, interrogano il fidanzato di Sarah, interrogano gli inquilini del palazzo, nessuno ha visto o sentito niente. Scavano nel passato di Sarah, scoprono un fidanzato, Genny Esposito, detto il Pianista, per il vizio che tiene di menare le mani a ogni poco, un mezzo delinquente del quartiere Sanità. Lo ricercano, lo trovano, aiutato dalla gente del quartiere riesce a sfuggire una prima volta, ma viene poi arrestato. Interrogatori pesanti, Genny non cede, si dice innocente, sembra sincero tanto che il commissario, resistendo alle forti pressioni del questore che vuole a tutti i costi un colpevole, lo lascia libero.
Mentre proseguono le indagini, il commissario Santagata racconta ad Acanfora una storia, la racconta come se come se fosse successa ad un suo poliziotto, ma Acanfora capisce; il poliziotto e la moglie in pizzeria, entrano due rapinatori, il poliziotto è indeciso se reagire o lasciar perdere, ha paura di mettere in pericolo la vita della moglie; combattuto fra questi dubbi, soprapensiero avvicina la mano alla fondina; uno dei rapinatori nota il suo gesto e spara uccidendo la moglie.
L’agente Acanfora è un bravo ragazzo napoletano, vive con la mamma, piena di attenzioni, lo soffoca di cibo e di parole: c’è già il caldo soffocante e soprattutto la morte di Sarah che lo opprimono.
Convinti che il mistero della morte di Sarah sia all’interno del palazzo, ancora fanno visita agli inquilini.
L’avvocato e sua moglie hanno sentito la ragaza urlare, l’avvocato stava uscendo, ma la moglie lo ha fermato
Fermati, arò vai? ha detto. Quelli ti ammazzano, sei pazzo, fermati, chi t’ o ffa fà, pensa ai fatti tuoi
La domestica filippina dell’architetto Caputo ha visto la ragazza sdraiata nell’androne, pensava fosse una drogata, era ancora viva, ma come, non l’hai riconosciuta, ha paura, l’architetto, assumendola, le aveva detto:
tu non vedi, non senti, non capisci niente. E se non ti va bene, tu torni al paese tuo.
L’autopsia risolve il mistero: il vero assassino è l’indifferenza della gente.
Un romanzo sincero e semplice; una scrittura immediata, viva, con tanto dialetto e parlata popolare. Un altro scrittore campano che si ribella al clima di paura e di egoismo.
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