Non un romanzo, questa volta, ma un breve saggio di sole 77 pagine , L’altro di Ryszard Kapuscinski, che potremmo considerare il testamento spirituale di questo straordinario reporter, testimone di eventi storici in tutto il mondo e che è scomparso nel 2007. Quattro conferenze per sintetizzare il pensiero di chi dal 1956 “ha trascorso la vita professionale viaggiando in continuazione e scrivendo delle popolazioni e dei problemi soprattutto del cd. terzo mondo”.
Un breve saggio da apprezzare ancor più in tempi come i nostri di sospettato ritorno al razzismo. Il tema dell’altro è sempre stato fondamentale e alla base di tutte le sue opere, la ragione del suo viaggiare, in questo caso approfondito in quattro circostanze e luoghi diversi ,argomento di incontro con diversi tipi di pubblico.
Per Kapuscinski gli altri sono “gli extraeuropei non bianchi”, nella consapevolezza che “noi occidentali bianchi” siamo gli altri per loro. E il reportage letterario, il genere in cui lo scrittore polacco eccelle, è il luogo dell’incontro con l’altro, perchè il genere più collettivo, che nasce dal contributo di decine di persone””incontrate sulle strade del mondo che ci raccontano la storia della loro vita o della società a cui appartengono.Oppure eventi a cui hanno partecipato o di cui hanno sentito parlare da altri”.
L’uomo è per sua natura sedentario e abbandona il suo nido, solo se costretto, scacciato dalla guerra, dalla fame, da un’epidemia, dalla siccità, da un incendio. A volte perchè perseguitato per le sue convinzioni, o spesso per cercare lavoro. ” In molti infatti lo spazio provoca ansia, timore dell’ignoto e perfino paura della morte. Eppure l’altro si incontra soprattutto viaggiando e al viaggio, che non è l’avventura turistica, Kapuscinski si prepara con letture e poi lo affronta con sforzo, fatica, sacrificio.
Interi popoli si sono in passato spostati, non per conoscere il mondo, ma per conquistarlo con le armi e assoggettarlo: un ‘eccezione è l’antica Grecia, quella di Erodoto, che Kapuscinski considera il primo reporter della storia e a lui ha dedicato un interessantissimo saggio In viaggio con Erodoto.
Erodoto 2500 anni fa, “pur bollando come non greco (barbaros) chiunque non parlasse la sua lingua , si rendeva conto che questo era comunque qualcuno. Era consapevole che “per conoscere se stessi bisogna conoscere gli altri: gli altri sono lo specchio in cui ci vediamo rif lessi… gli altri con cui confrontarsi e misurarsi…la xenofobia, sembra dire lo storico greco, è la malattia di gente spaventata, afflitta da complessi di inferiorità e dal timore di vedersi riflessi nello specchio della cultura altrui.”
Kapuscinski dimostra questo concetto in chiave personale:
Quando vivevo nel mio paese non ero consapevole di essere bianco e che ciò potesse influire in qualche modo sul mio destino. E’ stato solo in Africa alla vista dei suoi abitanti neri che me ne sono reso conto. Grazie a loro ho scoperto il colore della mia pelle, al quale altrimenti non avrei pensato” […]
Ogni volta che l’uomo si è incontrato con l’altro ha sempre avuto tre possibilità di scelta: fargli guerra, isolarsi dietro un muro o stabilire un dialogo: l’opzione della guerra è difficilmente giustificabile, è una sconfitta del genere umano, perché l’incontro con l’altro si conclude sempre tragicamente nel sangue e nella morte
Anche lo scontro di civiltà non è una scoperta dell’oggi: quasi sempre nel passato l’altro si è configurato come un selvaggio nudo, cannibale, pagano che per l’europeo. bianco e cristiano- era un sacro diritto e dovere sottomettere e calpestare.
Solo con l’illuminismo alla paura si è sostituito il desiderio di conoscere e il non bianco, il non cristiano e il selvaggio diventa anch’esso un uomo, come leggiamo nelle opere di Swift, Defoe, Rousseau, Voltaire, Goethe, Herder. Con Goethe nasce la letteratura mondiale, l’uomo diventa cittadino del mondo e il selvaggio il buon selvaggio. Sarà poi l’antropologia come nuova branca delle scienze sociali a interessarsi interamente all’altro, ad accettarne la sua diversità, a riconoscere la sua cultura sociale altamente sviluppata..
Nei primi decenni del 900 nasce la società di massa, analizzata a fondo da Ortega y Gasset, o da Adorno o Eric Fromm, Hanna Arendt, per mettere in luce che cosa è la folla nel suo essere anonima, impersonale, priva di identità e di volto. La corrente critica di questo stato di cose genera la filosofia del dialogo, all’interno della quale il reporter polacco mette in primo piano Emmanuel Levinas che elogia la superiorità dell’altro e il nostro dovere di assumercene la responsabilità, per cui la relazione con l’altro diventa un movimento in direzione del bene.
Fermati, accanto a te c’è un altro uomo. Incontralo – dice Levinas – l’incontro è la più grande, la più importante delle esperienze. Guarda il volto che l’altro ti offre. Attraverso di esso non solo ti trasmette se stesso, ma ti avvicina a Dio…Il volto dell’altro è il libro su cui sta scritto il bene.
Nella sua analisi, Kapuscinski, che ha una formazione di storico, ci ricorda che è in corso il passaggio dalla società di massa alla società planetaria, per cui il nostro pianeta è diventato uno spazio potenzialmente aperto ,in concomitanza con la rivoluzione elettronica.
Se i greci chiamavano barbaroi non greci, se i romani costruivano contro gli altri fortificazioni di pietra, limes, se i cinesi chiamavano yang-kwei, mostri marini, i non cinesi che arrivavano dal mare, oggi tra uomo e uomo si è inserito un intermediario, un impulso elettronico, una rete, un satellite.
Fortemente significativa la parola indù upanishada che significava “essere vicini, stare vicini” per cui l’io comunicava con la vicinanza diretta attraverso lo stare insieme,parola , invece ,contrapposta in tempi di globalizzazione alla comunicazione in spazi planetari attraverso i media. Più aumenta la globalizzazione più aumenta la piattezza, l’inadeguatezza , il caos. Più si ha a che fare con i media più ci si lamenta di sentirsi soli e smarriti. Eppure – secondo il reporter polacco – l’incontro con l’altro sarà la sfida del XXI secolo.
Bella l’immagine ricordata da Kapuscinski dell’altro al tempo delle fedi antropomorfiche, del tempo in cui gli dei potevano assumere forma umana e comportarsi come uomini. A quei tempi non si sapeva mai se il viandante fosse un uomo o un dio celato sotto sembianze umane. Questa incertezza, questa intrigante ambivalenza è una delle fonti della cultura dell’ospitalità che impone di accogliere con benevolenza il nuovo arrivato.
E ancora, per finire, vorrei riportare le parole di Conrad con cui, come messaggio di speranza, si chiude questo saggio di Kapuscinski:
Riusciremo insieme a trovare ciò che parla alla nostra capacità di provare meraviglia e ammirazione, al senso del mistero che circonda la nostra vita, al nostro senso della pietà, del bello e del dolore, alla segreta comunione con il mondo intero e, infine, alla sottile ma insopprimibile certezza della solidarietà che unisce la solitudine di infiniti cuori umani, all’identità di sogni, gioie, dolori, aspirazioni, illusioni, speranze e paure che lega l’uomo all’uomo e accomuna l’intera umanità: i morti ai vivi e i vivi agli ancora non nati
Ryszard Kapuscinski, L’altro, Universale Economica Feltrinelli, 2009, pp.77
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