Perché è importante il giorno della memoria ce lo spiega Daniel Mendelsohn nelle ultime pagine di Gli scomparsi ( pp. 682-683 ):
Se non avessi mai chiesto niente a mio nonno, se non mi fossi lasciato guidare dalla mia sete di conoscenza, non avrei mai appreso tutto quello che poi ho scoperto… Basta solo guardare, scorgere quel che è sempre stato sotto i nostri occhi.
Perché tutto, infine, va perduto: le esistenze di uomini da lungo tempo scomparsi, le vite illusorie, in gran parte sconosciute, di greci, romani, ottomani, malesi, goti, bengalesi e sudanesi, degli abitanti di Ur e di Kush, degli ittiti, dei filistei, vicende che nessuno conoscerà mai, come quelli di popoli più recenti, degli schiavi africani e dei loro mercanti, dei boeri e dei belgi, di coloro che furono massacrati o che morirono nei propri letti, dei conti polacchi e dei bottegai ebrei; i capelli biondi, le lunghe ciglia e i denti bianchi che un tempo qualcuno amò o desiderò, di quel giovanotto o di quella ragazza, uno tra i cinque (sei o sette) milioni di ucraini lasciati morire da Stalin. Tutto svanito per sempre, anche i particolari più minuti, i capelli, i denti e le sopracciglia, i sorrisi, le frustrazioni, l’ilarità, il terrore, l’amore, la fame, i sentimenti di ognuno di quei milioni di ucraini, così come i sei milioni periti nell’Olocausto, proprio come non rimane traccia della chioma di una ragazza ebrea, di un giovane, di un uomo, di una donna un tempo amata: tutto ormai scomparso, o destinato a scomparire, perché nemmeno milioni di libri potranno documentare tutto ciò, neanche quelli ancora da scrivere, ogni cosa andrà irremediabilmente perduta, le gambe ben tornite, la sordità, l’incedere deciso con cui quella persona scendeva dal treno con una pila di libri di scuola, i segreti di famiglia e le ricette dei dolci, degli stufati e del golachi, la bontà e la malvagità, le azioni di coloro che salvarono vite e di coloro che tradirono: alla fine tutto, assolutamente tutto naufragherà nell’oblio, come la civiltà degli egiziani, degli incas, degli ittiti.
Eppure nel breve periodo qualcosa può essere salvato, se solo, di fronte all’ immensità dell’esistenza, qualcuno deciderà di guardarsi indietro, di dare un’ultima occhiata, di cercare tra le rovine del passato, per recuperare il possibile, incurante di ciò che è andato perduto.
Daniel Mendelsohn, ebreo laico, professore di greco ed esperto critico letterario e cinematografico, ha girato il mondo, dall’Ucraina all’Australia, dalla Danimarca ad Israele, perché voleva scoprire come erano morti, uccisi dai nazisti con la connivenza degli ucraini, lo zio Shmiel, sua moglie e le sue quattro bellissime figlie: così è ripetuto infinite volte, quasi un ritornello nel suo romanzo-saggio Gli scomparsi.
Ad un certo punto della sua ricerca, durata 5 anni, dichiara (pag 217 ):
scoprii di aver seguito una pista sbagliata- voler scoprire come erano morti- e non come erano vissuti…sono i particolari banali a costituire la vera essenza delle persone
Mendelsohn, come Patrick Desbois in Fucilateli tutti, e tanti altri, grazie alle loro ricerche confluite nei loro scritti, che leggiamo soprattutto oggi – giorno della memoria – ci permettono di sottrarre al silenzio e all’oblio le tragiche storie di quel ventesimo secolo che Mandel’stam ha giustamente definito “il secolo cane-lupo”
Cercare, scrivere, ricordare… dare vita a chi è tragicamente scomparso, ma anche ai testimoni, a coloro che sono drammaticamente sopravvissuti, oggi molto anziani, prossimi alla morte.
:…Leggi anche: Seconda guerra mondiale: lo sterminio di civili fra storia e memoria

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