A volte in un bel libro ci si imbatte per caso, a volte invece lo si attende con ansia: da anni attendevo un nuovo romanzo di KADER ABDOLAH, capace di rinnovare la bellezza, la poesia, le emozioni di SCRITTURA CUNEIFORME, pubblicato in Italia nel 2003 e per me uno dei più bei libri letti in questi ultimi anni, insieme all’altro della scrittrice iraniana AZAR NAFISI, “LEGGERE LOLITA A TEHERAN”. Anzi i due libri, usciti più o meno nello stesso tempo, se pure nella loro specificità, si integravano a vicenda ed erano uno sguardo intenso, emozionante, profondo sulla recente storia dell’Iran.
E Kader Abdollah, che come esule politico dal 1988 vive in Olanda e scrive in olandese, non ha mai dimenticato la sua terra, neppure nelle due opere successive ( CALILA E DIMNA; RITRATTI E UN VECCHIO SOGNO meno interessanti rispetto alle due precedenti) e ora nella CASA DELLA MOSCHEA, pubblicata da pochi giorni da IPERBOREA, che sappiamo essere la casa editrice che diffonde in Italia la letteratura del Nord Europa. Lo scrittore iraniano in essa può a buon diritto trovare spazio, per avere scelto di “abitare” la lingua neerlandese, acquisita leggendo i classici olandesi e che gli intenditori dicono splendida, per avere dato ad una lingua piatta, fredda, senza ritmo la musicalità, il colore della lingua persiana.
Soprattutto con “La casa della Moschea” Abdolah torna alle sue radici, alla sua adolescenza e giovinezza, alla storia dell’Iran, a partire dal 1969, quando gli americani andavano sulla luna e appoggiavano la modernizzazione di un paese che troppo bruscamente passava da una condizione feudale all’americanizzazione sostenuta dallo Scià .
Nella casa, in cui si vive in armonia nel rispetto delle tradizioni, ad un certo punto entra la rivoluzione khomeinista con tutto il suo fanatismo e rigorismo morale.
Ho scritto questo libro- ricorda lo scrittore nella quarta di copertina- per l’Europa. Ho scostato il velo per mostrare l’islam come modo di vivere..un islam moderato, domestico, non radicale.
E ci tiene a ricordare in una recente intervista su L’ESPRESSO che si sente PERSIANO, non iraniano, figlio della Persia dei giardini, delle arti, della poesia e non dell’Iran cupo degli ayatollah, da cui è costretto a fuggire. Anzi Kader Abdolah non è il suo vero nome, ma il nome con cui rende omaggio a due compagni di lotta giustiziati dal regime di Khomeini, che gli ha assassinato un fratello, violentato e imprigionato le sorelle. Fuggito poi in OLANDA, in quella piatta, ventosa, umida terra, da cui rimpiange le magiche montagne della sua patria scrive ” “per arginare i sensi di colpa ” (solo lui è fuggito! ); scrive ” precipitato- da una cultura in cui tutto succedeva dietro i veli e le le tende e in cui tutto era proibito- in una società in cui tutto era permesso”
Scrivo con i piedi in Olanda e la testa nella mia terra..La fuga non è altro che il ritorno al luogo da cui sei fuggito.
Nella “Casa della moschea” torna “nella terra degli affetti, della memoria, nei luoghi di una storia personale e politica”, creando un affresco variopinto che affascina: un po’ come quei tappeti persiani, che hanno i colori e i disegni delle ali degli uccelli che volano nei cieli della Persia. E sono i tappeti prodotti dal ricco mercante AGA JAN, protagonista del romanzo,, che abita la grande casa vicino alla moschea, insieme a moglie, figli, alle due nonne, quasi personaggi da fiaba e il muezzin cieco e i diversi imam che si susseguono nel tempo..
Kader, che laico, ma profondo conoscitore del Corano, condanna ogni forma di fondamentalismo, rappresenta nella figura di Aga Jan proprio quel islam moderato che vuole far conoscere all’occidente. In quella casa si vive in armonia, finchè non dilaga la rivoluzione di Khomeini, che vuole spazzare via ogni forma di modernizzazione. Alla moschea di Senejan, nel cuore della Persia si contrappone QOM, centro dell’oscurantismo, ad Aga Jan l’imam Ghalghal, braccio destro di Khomeini, che a sua volta è ritratto con il suo carisma, ma anche nei banali momenti della vita quotidiana.
All’atmosfera idilliaca, un po’ magica della prima parte segue la storia drammatica che vede prima la politica poliziesca dello scià e, dopo la sua cacciata, l’applicazione di un integralismo religioso, in cui anche cinema, televisione faticano ad essere accettati, o in cui anche solo il canto è peccato. Sono tempi in cui si è condannati a morte con esecuzioni sommarie e in cui i morti giustiziati- come il figlio di Aga Jan – non riescono neppure ad avere l’onore della sepoltura.
Se nella parte intermedia del romanzo prevale un po’ troppo l’aspetto cronachistico nella parte finale ritorna quel Kader Abdollah, affabulatore che viene dalla terra di Sharazade e che nei momenti migliori imprime alla narrazione il ritmo di un racconto orale.
Per chi non conosce Kader Abdolah e ama i colori, i profumi, la musicalità della migliore letteratura mediorientale un invito alla lettura di tre opere, che potrebbero costituire quasi un trilogia:
IL VIAGGIO DELLE BOTTIGLIE VUOTE, Iperborea 2001 pp.176, euro 10,50
SCRITTURA CUNEIFORME, Iperborea 2003, pp360, euro 16,50
LA CASA DELLA MOSCHEA, IPERBOREA,settembre 2008, pp.466, euro 18,50
Per chi invece già li conosce un invito a discuterne insieme!
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