Joseph Roth, Il Caffè dell’Undicesima Musa
Adelphi, pp. 190
Dalla scheda di Adelphi: [www.adelphi.it]
Soma Morgenstern riteneva che Roth fosse non tanto un narratore nato, quanto piuttosto «un descrittore nato, e del genere più illustre», e che la parte migliore della sua opera fossero gli articoli da lui scritti per le terze pagine dei giornali, fra i quali, scriveva, «figurano molti piccoli grandi capolavori».
E i reportage viennesi qui radunati – apparsi fra il 1919 e il 1920 sul giornale pacifista «Neuer Tag» – sono la più eloquente conferma di quel giudizio.
Un caleidoscopio popolato da pescecani e profittatori di guerra, disperati regrediti all’autosussistenza come tanti Robinson Crusoe in una Vienna stremata dalla catastrofe bellica e bambini rachitici che giocano in mezzo alla strada con lo sterco dei cavalli, cambiavalute volanti e borsaneristi, caffè à la page e locali malfamati, contadine slovacche col fazzoletto variopinto in testa e «parigine dell’Est» dall’ossigenatura biondo platino, baracconi del Prater e sale da gioco, ebrei orientali in caffetano nero e Guardie rosse della repubblica ungherese dei Soviet, artisti del circo in attesa di una scrittura e star del nuovo universo cinematografico, o anche pazzi usciti dallo Steinhof, come quell’uomo con la corona di cartapesta sulle ventitré che rivendica il trono degli Absburgo, a dimostrazione di come l’insania calchi ormai senza più remore la scena del mondo – un mondo eternato nelle icastiche glosse del Roth reporter.