A proposito di: Nuto Revelli, Il disperso di Marburg.
A differenza di quanto mi aspettassi (o forse _ ci aspettassimo _
anche perch� parlandone all’ultima riunione avevo contribuito
all’equivoco) il libro � difficilemnte collocabile in quella che
generalmente intendiamo come “narrativa”.
E’ invece una sorta di diario di una ricerca.
Una delle ricerche
tipiche di Nuto Revelli, che lavorava sulla raccolta di testimonianze
(Revelli � storico prevalentemente devoto alle fonti orali) per poi
trarre anche considerazioni generali e di sintesi – per dare senso
agli avvenimenti – dalle molteplici storie individuali.
La lettura de _ Il disperso di Marburg _ � ancora all’inizio, ma gi�
colpisce la forza dell’impegno etico di Revelli: capire comunque, la
possibile anomalia di un nemico (del nemico assoluto: Revelli era un
partigiano, ha visto i suoi compagni rastrellati e fucilati, ha
conosciuto le stragi dei paesi come Boves e, quando era nell’esercito,
la guerra di sterminio dei nazisti in Russia) diverso, “buono”.
Assumere la forza dell’indagine per restituire la figura di un
individuo, evitando di accettare senza riserve l’inclusione in una
categoria che generalizzi.
Fra i molti inviti a seguire Nuto Revelli nella sua ricerca del
“disperso”, cito la domanda [e le numerose ripetute risposte che prova
a dare l’autore] che gli pone Nino, uno dei testimoni della vicenda:
“Se era un tedesco, di quelli di allora, perch� tutto questo tuo
interesse?” Domanda che chiama in causa un mondo di ragioni e
passioni, per esempio quelle della moralit� dei resistenti, che mai
devono porsi sullo stesso piano dei nemici che combattono.
Un altro invito che Revelli ci offre � stilistico: l’indagine �
condotta da un narratore che mostra di non sapere come andr� a finire
la storia. Quindi ha una forza di attrazione che � – questa s� –
simile a quella della narrativa vera e propria.
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