La saga di Quando Dio ballava il Tango, organizzata in racconti, ciascuno con punti di vista differenti, ha il grande pregio di portare in primo piano le voci di narratori/protagonisti, la loro parte di mondo.
Leggendo si ha come l’impressione che l’autrice si faccia da parte – salvo rarissimi momenti nei quali “aiuta” il narratore/personaggio a tessere la sua tela; In effetti rinuncia al ruolo titanico di tenere le fila delle storie e della Storia. Il quadro d’insieme delle famiglie ci sfugge, dobbiamo continuamente consultare gli schemi posti nelle prime pagine del libro, se vogliamo provare a ricostruire l’intero mosaico. E anche se lo facciamo � io lo faccio, a differenza di quanto ci consiglia Antonio P. � il tutto mi pare continui a sfuggire, via via che la lettura avanza.
Manca dunque l’impressione di totalit� del romanzo tradizionale ma � come se ci *avvicinassimo di pi� al cuore di chi racconta*. Mi sembra che questo renda l’esperienza della lettura pi� simile a quella di chi ascolta qualcuno che narra una storia, emotivamente molto coinvolto; di volta in volta molto vicino alle ragioni della narratrice di turno.