Paul Auster, Qualche nota sul romanzo del 1992 “Leviatano”.
6 giugno 2002
Il racconto è una re-invenzione di una realtà plausibile, capace di sedurre il lettore per gli indizi che la rendono credibile e per l’intreccio avvincente. Una realtà che però rivela presto tratti innaturali, di rappresentazione stilizzata dell’assurdo e piena di allegorie e simboli. E infatti qualche critico ha accostato i temi di Auster a quelli di Samuel Beckett: insomma appena si va oltre le apparenze, siamo lontani da una rappresentazione naturalistica.
La concatenazione di casi, coincidenze, circostanze improbabili che affollano Leviatano, costituisce un artificio che mostra, richiama, le trame complesse, le innumerevoli azioni che si intrecciano nella vita vera e alle quali disperatamente proviamo ad attribuire un senso, un percorso, un movimento con inizio, svolgimento e fine. E che facciamo fatica a trovare. L’impossibilità di scorgere il senso del reale viene superato nella narrazione, perché i frammenti – attraverso le coincidenze casuali – si combinano e creano senso e significato.
Lo fanno in una cornice filosofica, con evidente intento allegorico. In Leviatano alcune allegorie riguardano per esempio la relazione fra la scrittura (i protagonisti di Leviatano sono due scrittori) e l’azione quotidiana nel mondo reale, contrapposta a quella astratta dello scrivere. Il ruolo dello spsotarsi, il trasferimento da un luogo all’altro come forma di azione. Il rapporto tra individuo e Stato.