Charles Dickens e il lavoro

Sui cento anni della casa museo di Doughty Street a Londra e su cosa significa oggi lavoro, pensando a cosa scriveva l’autore di Oliver Twist

Charles Dickens

Sui cento anni della casa museo di Doughty Street a Londra e su cosa significa oggi lavoro, pensando a cosa scriveva l’autore di Oliver Twist

Su La Repubblica – Robinson di domenica 9 febbraio, Antonello Guerrera ci ricorda che compie cent’anni la casa mueso di Charles Dickens. “Siamo al numero 48 e 49 di Doughty Street, nel letterario quartiere di Bloomsbury, tra il British Museum e la comunità italiana di Clerkenwell.”

“Una dimora a mattoncini ocra di tre piani più la cucina scantinato, che oggi compie cent’anni da quando è diventata museo e che dunque, con la mostra Dickens in Doughty Street: 100 Years of the Charles Dickens Museum, celebra con cento oggetti il suo inquilino più famoso, morto nel 1870 a 58 anni per un’emorragia cerebrale, dopo esser miracolosamente sopravvissuto al disastro ferroviario di Staplehurst nel Kent.”

“Ma le reliquie disseminate nel Charles Dickens Museum sono tante, tra vecchie e nuove riesumate per l’occasione: dipinti, edizioni rare, manoscritti, mobili originali, illustrazioni di Canto di Natale e altri romanzi firmate da Hablot Knight Browne, John Leech, George Cruikshank e Fred Barnard. Ecco le prime pagine di Dickens, ovvero un mini album di poesie scritte a 18 anni a una ragazza di cui si era innamorato, Maria Beadnell: «Ce ne sono di carine e di brutte», avverte Harper. C’è, da tempo, l’unico vestito rimasto di questo genio della letteratura: un abito da sera che indossò a St James’s Palace invitato dalla Royal Family il 6 aprile 1870,due mesi prima di morire. Ma anche il manoscritto di Oliver Twist, il suo pettine, il binocolo, la penna di piuma, la boccetta dell’inchiostro, il ritratto mentre abbozzava il Canto di Natale, perduto per 174 anni e poi ritrovato in una casa in Sudafrica nel 2017.

Ma passiamo alle chicche inedite, ora esposte per la prima volta al pubblico: un delicato schizzo a gesso e pastelli di Dickens, di quando aveva 25 anni che, secondo i curatori, è il disegno originale del terzo ritratto dello scrittore a firma Samuel Laurence, ora introvabile. Ma c’è anche una copia meravigliosamente slavata diDavid Copperfield, che il capitano Robert Falcon Scott portò con sé nel 1910 durante la spedizione Terra Nova in Antartide. Un tomo che ha resistito al gelo delle grotte di ghiaccio, annerito da impronte digitali, grasso di balena e fuliggine del fuoco acceso, e che l’esploratore e la sua ciurma leggono ogni sera per sessanta notti prima di coricarsi. Non solo: c’è anche l’abbozzo della Violated Letter, con destinataria la servitrice Ann Brown, in cui Dickens avrebbe annunciato, sul giornale Household Words, il suo divorzio dalla moglie Catherine nel 1858. Due decenni prima, con lei e la cognata Mary Hogarth, Dickens si trasferisce a Doughty Street in affitto per 80 sterline all’anno. Qui Catherine partorirà le prime due figlie femmine Mary e Kate dei dieci totali con Dickens.

Sullo stesso numero di Robinson, Stefano Massini scrive a proposito di Dickens e della scarsa considerazione che viene dedicata oggi al lavoro:

“Charles Dickens, colui che da Oliver Twist a Nicholas Nickleby ci ha consegnato in forma di romanzi un Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, un affresco letterario di personaggi sprofondati nei drammi e nei dilemmi di un mondo del lavoro così lontano eppure così vicino al nostro. Sfogliarne le pagine è scavare in un’archeologia del lavoro. Cominciamo dicendo che il nume tutelare della working class letteraria sapeva bene cosa fosse il verbo lavorare. Lo sapeva al punto tale che prima andò in fabbrica e poi a scuola. Il classico percorso che prevede un meccanismo inverso è del tutto ribaltato nella vita di Dickens, che conobbe la fatica del turno prima dei banchi di scuola della Wellington, un po’ come John Clare che prima di imparare a leggere si rompeva già la schiena nei campi del Cambridgeshire. Certo, Charles aveva ricevuto un’istruzione di base all’età di cinque- sei anni, ma poco dopo i dodici si trovò costretto a lasciare le sue adorate letture per varcare ogni giorno i cancelli della Warren’s Blacking Warehouse, dove una legione di operai come lui produceva l’olio per i lustrascarpe di mezza Inghilterra. Ci rimase per molti mesi, costretto a turni sfinenti, sprofondato nell’abbrutimento di quei sobborghi settentrionali di una fumosissima Londra, in cui la borghesia non metteva piede neancheper errore, e se accadeva ne restava traumatizzata. Non per nulla erano spesso ambientate lì le storie di sangue e degrado di cui abbondavano i cosiddetti penny-dreadful, racconti tascabili spaventosi concepiti per spruzzare un po’ di brivido nella routine monotona del ceto medio vittoriano, ben lieto di inorridire di certe Babilonia come Camden Town, la periferia nord nota ai più per i quadri a tinte fosche di Walter Sickert, sospettato d’essere Jack lo Squartatore.”

Sembra un quadro lontanissimo, ma a ben osservarlo è sovrapponibile al nostro: la Camden Town di Dickens sarà stata cupa e tinta di nero pece, ma non era in fondo diversa dalle periferie degradate di cui cantano Mahmood e Ghali, quelle in cui la città appare lontanissima e la sopravvivenza è l’unica discriminante. Tredici anni sono passati da quel giorno in cui Isabella Viola, barista di trentaquattro anni, fu trovata morta su un mezzo pubblico stroncata dal prezzo di una vita impossibile pur di mantenere quattro figli e un marito nella giungla dei condomini di Torvaianica: è una storia che potrebbe ben figurare nelle pagine di Tempi difficili, per la semplice ragione che pochissimo è cambiato e l’assenza di garanzie e di diritti trionfa ancora per chi necessita di soldi, i famosi “pochi maledetti e subito”, quelli per cui vivere e morire secondo la regola spietata che tratteggia Pasolini ne La tosse dell’operaio.

A fare semmai la differenza è che la società di Dickens era ancora visibilmente distinta in livelli, e ognuno di questi era riconoscibilissimo per abbigliamento e riti, mentre nel 2025 tutto appare uniformato nel grande sabba dell’omologazione, per cui anche i più derelitti figli della working classsi realizzano facendo la fila all’alba fuori da un outlet per aggiudicarsi il nuovo smartphone con 48 comode rate ( da detrarre da uno stipendio che chissà se manterranno). Oliver Twist all’età di dodici anni era subito identificabile come un predestinato all’eterno sudore, laddove oggi vestirebbe invece con gli stessi abiti di un piccolo borghese e scaricherebbe dal web gli stessi video dei suoi coetanei delle zone residenziali.”

Per il resto, niente è diverso, e anzi rispetto all’operaia Vincenzina di Enzo Jannacci siamo riusciti a peggiorare il quadro con l’annientamento della solidarietà sociale, del mutuo soccorso, del reciproco sostegno fra lavoratori che compare sullo sfondo degli scritti, per esempio, del nostro Ottieri. È il ricordo di un’epoca svanita, quella in cui ancora l’individuo non svettava come entità salvifica e onnipotente, consacrando fra le altre sciagure la solitudine del lavoratore orfano di quel plurale che oltre a proteggerlo lo epicizzava. Qui giace la working class? Se non è un requiem, poco ci manca.”

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