La vita nelle parole: Autobiogrammatica di Tommaso Giartosio

L’autore dice di aver voluto «immaginare una vera e propria autobiogrammatica che ambisse a disegnare un atlante del linguaggio di un singolo individuo: cioè del suo modo di sentire e vivere la lingua»

Steel Foundry, Coatesville, Pa. Ralston Crawford, 1936-1937

Ho per le mani il nuovo libro di Tommaso Giartosio, Autobiogrammatica (Minimum fax, 2024). Leggendo viene da pensare alle nostre parole. Dentro, ma anche oltre, la meraviglia, la sorpresa o la nostalgia del lessico famigliare di ciascuno; o il lessico dei giochi solitari dei bambini; ma anche il rancore o la paura dei lessici avvelenati, delle parole urlate, degli ordini di un sergente, delle parole-disposizioni di un superiore sul lavoro, le parole di un amore, le parole dei malati, le parole dell’avventura.

È certo un libro sul mistero delle parole. Un libro che ci invita anche a lavorare sulle nostre parole.

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Ciascuno ha un’altra autobiografia da svelare, fatta di parole che vanno oltre le parole apparentemente ben chiare e distinte e forse rassicuranti che usiamo o useremmo – a prima vista – per raccontarci nelle nostre storie, specie se le lasciassimo scivolare nelle semplici cronache dei giorni.  Ecco, cercando un po’ – e sappiamo che il lavoro autobiografico è soprattutto lasciare che la scrittura ci faccia cercare –  scopriamo altre parole, parole generative, attaccate in modo complesso a quelle altre parole chiare, distinte e rassicuranti, messe in fila dall’autobiografia che abbiamo già deciso di scrivere.

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Giartosio dice di aver voluto «immaginare una vera e propria autobiogrammatica che ambisse a disegnare un atlante del linguaggio di un singolo individuo: cioè del suo modo di sentire e vivere la lingua» (p.42-43).

E aggiunge, più avanti:
«E la libertà stava al cuore dell’Autobiogrammatica. Per esplorare la foresta dovevo essere pronto a imboccare qualsiasi sentiero, senza prevenzione di sorta. Così ho fatto silenzio dentro e fuori di me, mi sono messo in ascolto. Di più sono diventato ascolto.
Cosa sarebbe accaduto se mi fossi chiesto, ad esempio:
-quali sono le parole che mi sembrano perfette, e da dove viene questo piacere tattile più che musicale?» 

Giartosio porta altre domande che danno corpo e voce a questo ascolto; alcune le trovate anche sulla quarta di copertina. Ne cito un’altra, perché aiuta ad avvicinare il tono, la voce e il senso di questo libro indefinibile, che qualcuno chiama romanzo, qualcuno autobiografia; è qualcosa che sta da quelle parti, ma non si identifica esattamente con territori accuratamente segnati. Cito dunque quest’altra domanda: «-quali insulti mi feriscono?, e in che modo ho imparato a insultare?»

Scrive ancora Giartosio che forse sono domande che interessano solo l’autore. «Ma non credo. Ognuna trova la sua risposta nel racconto di un pezzo di vita, e i racconti hanno il brutto vizio di riguardare anche chi non li ha vissuti in prima persona. Il nome che diamo all’esperienza di vivere vite altrui è: ascoltare una storia

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Il libro è diviso in due parti. La prima parte, “La presa di parola” racconta com’è nata questa autobiogrammatica. L’autore, chissà perché, ci dice che si può anche saltare; io direi che invece va letta con attenzione, perché qui mi sembra si trovi la chiave di comprensione del resto del lavoro. Per esempio la faccenda del taccuino su cui dall’adolescenza in poi disegna e soprattutto scrive; una specie di fucina di pensiero e un archivio obliquo che interseca la vita, la rende a suo modo intelligibile. La seconda parte è l’”Abbecedario” ed è la storia vera e propria, anzi le storie di vita raccontate da questo libro.

Prima di vedere, brevemente, questo abbecedario, mi piace notare che l’intero libro, dotato di una linea continua e coerente di narrazione, disvelamento, spiegazione, può essere appunto definito romanzo, per quanto anomalo; può poi  anche essere definito autobiografia; ma è anche un insieme di racconti autobiografici, fra loro connessi in modi che sono da scoprire e forse suggeriscono strade simili e magari sconosciute anche ad altri aspiranti narratori di sé. In sostanza potremmo anche leggere il libro in base a suggestioni e itinerari scelti da ciascun lettore, se non riteniamo l’ordine cronologico un ordine che merita troppa considerazione.

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L’Abbecedario è dunque composto da “Silenzio”, “Parola”, “Voce”. E poi da tre Alfabeti: lungo i quali si dispiegano le storie della giovinezza, perlopiù, del narratore. Che con tutte le precauzioni, dovremmo considerare rispettoso del patto autobiografico delineato da Philippe Lejeune (Il Patto autobiografico, Il Mulino 1986, da tempo fuori catalogo, si trova solo nelle biblioteche): l’autore che appare sulla copertina coincide con il narratore e con il protagonista del libro, la persona della quale parla la voce che dice “io”. Anche se, mentre leggo, mi trovo spesso a chiedermi se quel patto autobiografico sia davvero rispettato; ma soprattutto mi dico: non avevamo deciso di non preoccuparci di rispettarlo? E chissà cosa ne pensa Giartosio.

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Autobiogrammatica è dunque un libro che oltre al piacere del racconto di sé, offre numerose suggestioni di come si possa giocare con i racconti autobiografici, consapevoli che l’unico confine che non possiamo superare davvero è quello del linguaggio. in attesa che la saggezza ci aiuti a capire se abbiamo rispettato il vincolo – quello sì imprescindibile – dell’autenticità. Ovviamente, anche questa affermazione non ci lascia tranquilli, vista la vastità e varietà di interpretazioni del concetto di autenticità. Si veda per esempio la voce Authenticity della Stanford Encyclopedia of Philosophy.

(L’illustrazione: Ralston Crawford, Steel Foundry, Coatesville, Pa., 1936)

Commenti

Una replica a “La vita nelle parole: Autobiogrammatica di Tommaso Giartosio”

  1. Avatar Consigli di lettura dal gruppo ”grandi libri” – GRUPPO DI LETTURA

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